Oggi mi sento come se stessi vivendo in una casa che non è davvero mia. Mia suocera impone le sue regole, e mio marito non dice una parola. Sono stanca, esausta, al limite.
A volte mi guardo allo specchio e mi chiedo come abbia potuto sposare un uomo che, a trent’anni, è ancora così legato alla sua mamma. Si chiama Matteo, e all’apparenza sembra maturo, indipendente, sicuro di sé. Ma in realtà è ancora il piccolo di casa, incapace di prendere una decisione senza il “consiglio” di sua madre.
Ci siamo conosciuti grazie a… indovina un po’? Proprio lei! Lavoravo come commessa in un negozio di abbigliamento, e una signora anziana cominciò a venire spesso. Mi elogiava, diceva che ero come una figlia. Poi un giorno portò con sé suo figlio: «Matteo, guarda che ragazza splendida!». E lui cadde subito nel tranello. Iniziò a corteggiarmi, a portarmi a cena. Poi, il matrimonio.
L’appartamento in cui viviamo ce l’ha dato sua madre. Lei si è trasferita dal suo nuovo compagno, dicendoci: «Vivete qui, risparmiate per una casa vostra. Voglio dei nipotini!». Parole dolci, ma egoiste. Perché presto è tornata nelle nostre vite… con strofinacci, pentole e le sue regole.
Ogni lunedì mattina è un déjà-vu. Nel weekend pulisco tutto alla perfezione, cucino, sistemo. Poi, al mio rientro, trovo tutto rifatto: pavimenti lucidi, vestiti stirati, letto rifatto. E un biglietto: «Ho preparato la pasta al forno, sistemato l’armadio, cambiato le lenzuola. Un bacio». Gentile, sì, ma mi fa venir voglia di urlare. Questa casa è mia o sua?
Ho parlato con Matteo, gli ho detto che non ce la faccio più. Lui ha scrollato le spalle: «Lo fa con amore! Vuole solo aiutarci!». Come se dovessi ringraziarla per avermi privato del ruolo di padrona di casa. Lava persino la mia biancheria intima, rovista nei cassetti, sposta le mie cose. La privacy? Non esiste.
La cosa più assurda è che a casa sua non fa così. Quando andiamo a trovarla, tutto è ordinato, ma non maniacale. Da noi, invece, sembra vivere in un museo: tutto perfetto, misurato al millimetro. Una straniera nella mia casa, e io non posso dirle niente. Perché, come mi ha ricordato mia madre: «L’appartamento è suo. Sopporta, finché non ne comprate uno vostro».
Ma come faccio a sopportare, quando giorno dopo giorno mi sento sempre più estranea? Non dico che mia suocera sia cattiva. Ma ha un bisogno ossessivo di controllare tutto. Probabilmente non ci vede come una famiglia autonoma, ma come due bambini da gestire.
E Matteo… Lui rifiuta di mettere dei limiti. Per lui va tutto bene. Pensa che siamo «fortunati». Io, invece, mi sento un’ospite. Lui non capisce quanto mi faccia male. O forse non vuole capire.
E quando mia suocera annuncia: «Voglio dei nipotini. Quando arriveranno, verrò più spesso, vi aiuterò», mi prende il panico. Perché so già che non verrà ad “aiutare”, ma a comandare. Imposterà orari, menù, regole. Già mi manca l’aria, con un bambino diventerà insopportabile.
Ieri ho messo Matteo di fronte alla realtà: o parla con sua madre, o lo farò io. Non importa di chi è la casa. Se ci ha permesso di viverci, deve rispettarci. Non sono un oggetto da spostare a piacimento. Sono una moglie, una donna, e ho il diritto di sentirmi a casa mia. Anche se, per ora, la casa non è davvero mia.