Da adulti, nostro padre resta il cuore della famiglia.

Io e mio fratello siamo adulti da tempo, ma nostro padre rimane il cuore della nostra famiglia.

Anche se abbiamo le nostre vite, con mogli e figli, nostro padre—settant’anni ben portati—continua a occupare un posto speciale nei nostri cuori. Vive da solo in una casetta alla periferia di Roma. Mamma non c’è più, e io e Matteo facciamo di tutto perché papà non si senta solo, circondandolo di attenzioni. Mi chiamo Luca, mio fratello è Matteo. Nonostante gli impegni, troviamo sempre il tempo per andarlo a trovare, anche se il lavoro a volte ci ruba energie e ore.

Io lo visito ogni domenica. Gli preparo pranzi che durano giorni: pasta al sugo, pollo arrosto, verdure stufate, minestre. Ride, dicendo che cucino meglio dei ristoranti, ma so che è solo il suo modo per farmi felice. Mentre i piatti cuociono, sistemo la casa, controllo che tutto funzioni. Si chiama Antonio Rossi. Ama ricordare i tempi passati, ripetendo le stesse storie che ho sentito mille volte. Ma lo ascolto lo stesso—in quelle parole c’è la sua vita, e adoro vedere i suoi occhi brillare quando parla dei giorni che furono.

Matteo passa a trovarlo il mercoledì. Abita più lontano, ma non manca mai. Si occupa delle riparazioni—un rubinetto che perde, l’erba da tagliare, la neve da spalare d’inverno. Papà vorrebbe aiutare, ma lo convinciamo a riposare. “Voi due non mi fate annoiare mai”, scherza. Spesso, Matteo porta con sé sua figlia, la piccola Sofia, di sette anni. Lei adora il nonno, e lui ricambia: le racconta fiabe, le insegna a giocare a scacchi. Quei momenti sono pura felicità per lui.

Papà è ancora pieno di vita, nonostante l’età. Ha un orticello dove coltiva pomodori, zucchine e basilico. Dice che lavorare la terra lo tiene in forma. Legge il giornale, guarda i vecchi film di De Sica. A volte proviamo a convincerlo a uscire con noi, ma risponde sempre: “Sto bene qui.” Però si vede—le nostre visite sono tutto per lui. Non lo dice mai apertamente, ma il suo sorriso parla da solo.

Io e Matteo siamo diversi in tutto, ma su una cosa siamo d’accordo: nostro padre è un tesoro. Non è solo il nostro genitore, è un esempio. Ricordo come ci insegnava a lavorare sodo, a essere onesti, a rispettare il prossimo. Anche adesso che siamo padri a nostra volta, lui resta la nostra guida. Dopo la morte di mamma, è diventato più silenzioso. Ma noi cerchiamo di colmare quel vuoto con amore. A volte penso a quanto sarebbe felice lei, vedendo come ci prendiamo cura di lui.

Mia moglie, Giulia, gli vuole bene. Gli porta sempre dolci fatti in casa o conserve. Papà la ringrazia, scherzando: “Mi avete viziato troppo.” Abbiamo due figli, e adorano il nonno. Il maggiore, Tommaso, dodici anni, lo aiuta nell’orto, mentre la piccola Chiara, nove anni, si perde nelle sue storie. Questi momenti tengono unita la famiglia.

A volte mi fermo a pensare a quanto voli il tempo. Papà non è più forte come una volta, ma lo spirito è lo stesso. Io e Matteo abbiamo promesso: non lo lasceremo mai solo. Se servirà, lo porteremo a vivere con noi o assumeremo qualcuno. Ma finché vorrà la sua indipendenza, la rispetteremo. L’importante è che sappia—saremo sempre lì.

Le nostre domeniche e i nostri mercoledì sono diventati sacri. Non è solo questione di cibo o faccende domestiche—è il nostro modo di dirgli quanto conta per noi. E quando lo vedo sorridere, quando abbraccia Sofia o mi ringrazia per la cena, capisco: questi istanti non hanno prezzo. La vita mi ha insegnato a non dare per scontato la famiglia, e ringrazio il cielo per papà, che ancora oggi ci tiene uniti.

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