Io e mio marito, Vittorio, stavamo organizzando il matrimonio di nostra figlia Beatrice. Bea ha già ventisette anni, è ora che si sistemi, soprattutto perché ha conosciuto un ragazzo perbene, Matteo. Lui è serio, fa l’ingegnere, si prende cura di Bea e anche io e Vittorio l’abbiamo subito apprezzato. Tutto sembrava procedere verso il sì, già discutevamo della data, dell’abito, degli invitati. Ma quando ho scoperto con quale “dote” la madre di Matteo, la signora Donatella, aveva provveduto al figlio, sono rimasta senza parole. Ma che è, nel ventunesimo secolo siamo tornati al Medioevo, dove la dote decide chi è degno di chi?
Bea è una ragazza intelligente. Ha finito l’università, lavora nel marketing, si mantiene da sola. Io e Vittorio le abbiamo sempre insegnato a essere indipendente, a non contare solo sul marito. Ma ovviamente, come genitori, volevamo aiutare i giovani all’inizio. Abbiamo deciso di regalare loro dei soldi per l’anticipo di un mutuo, così potranno comprarsi casa. Inoltre, ho preparato per Bea una piccola “dote” — lenzuola belle, un servizio di piatti, persino le tende nuove, perché il loro nido fosse accogliente. Pensavo fossero sciocchezze, ma dimostrano che ci teniamo. E Matteo, come futuro sposo, aveva promesso di fare la sua parte — aveva dei risparmi e diceva di voler che tutto fosse in pari tra lui e Bea.
E poi, la scorsa settimana, io e Vittorio siamo andati da Donatella per parlare del matrimonio. Lei è una donna imponente, sempre con la piega perfetta e un tono come se sapesse tutto. Ci sediamo, beviamo il caffè, e lei comincia: “Maria Teresa, e voi cosa date a Beatrice come dote? La tradizione vuole che la sposa porti qualcosa nella nuova famiglia.” All’inizio ho pensato scherzasse. Quale dote? Ma che è, dobbiamo portare mucche e bauli pieni d’oro? Ma Donatella era seria. E allora sbotta: “Io ho dato a Matteo una macchina, pagata tutta, e metà del costo della casa. E voi?”
Ho quasi lasciato cadere la tazzina. Una macchina? Metà casa? Che è, adesso ci presenta il conto per suo figlio? Mi sono trattenuta, ho sorriso e ho detto che anche noi aiutiamo i nostri figli, ma senza entrare nei dettagli. Dentro però ribollivo. Io e Vittorio non siamo milionari, ma per Bea abbiamo fatto tutto il possibile. E adesso sembra che la nostra dote siano “bazzecole”, mentre Donatella ha praticamente cresciuto un principe che dovremmo riempire di regali?
Tornata a casa, ho raccontato tutto a Bea. Lei ha solo riso: “Mamma, che importa quello che danno loro? Io e Matteo ce la caveremo da soli.” Ma io mi sentivo offesa. Non per me, per Bea. Lei è così dolce, buona, e adesso la misurano con una scala medievale. Ho parlato con Vittorio, ma lui, come al solito, ha detto di non preoccuparmi: “Maria, lascia stare. L’importante è che si vogliano bene.” Facile per lui, io non riesco a calmarmi. Perché dovremmo giustificarci con Donatella? E poi, da dove vengono tutte queste pretese? Pensa che suo figlio sia merce al mercato e noi dobbiamo “pagare”?
Qualche giorno dopo, Bea mi ha detto che anche Matteo non è contento dei discorsi di sua madre. Ha detto che la macchina e i soldi sono utili, ma non vuole che il matrimonio diventi una trattativa. “Sposo Bea, non la sua dote,” le ha detto. E lì mi sono ammorbidita un po’. Matteo ha la testa sulle spalle, e sembra che ami davvero nostra figlia. Ma Donatella non molla. L’altro giorno ha chiamato per chiedere che abito compravamo a Bea, quanti invitati avremmo portato, e se intendevamo “aggiungere qualcosa di sostanzioso” alla dote. Ho trattenuto a fatica qualche parola non proprio gentile.
Ora mi chiedo: come comportarsi in questa situazione? Da un lato, non voglio rovinare i rapporti con la futura consuocera. Il matrimonio è una festa, e sogno che Bea sia felice. Ma dall’altro, quel tono mi fa arrabbiare, come se dovessimo qualcosa. Io e Vittorio abbiamo lavorato tutta la vita, cresciuto Bea, le abbiamo dato un’educazione, dei valori, amore. Non è più importante di macchine e case? E poi, non dovrebbero essere i giovani a costruirsi la vita? Io e Vittorio, quando ci siamo sposati, abbiamo iniziato con una stanza in affitto, eppure ce l’abbiamo fatta. Qui invece sembra che ci abbiano trascinati in un’asta.
Bea, la mia intelligente, cerca di mettere pace. Dice: “Mamma, non preoccuparti, io e Matteo risolveremo. Se serve, faremo un mutuo e compreremo casa senza dote.” Ma vedo che anche lei è a disagio. Vuole che il matrimonio sia gioioso, non motivo di litigi. Ho deciso che non risponderò più a questi discorsi di Donatella. Dica pure quello che vuole, noi faremo come crediamo. Regaleremo a Bea e Matteo quello che avevamo promesso, e saremo felici per loro. Se la consuocera vuole misurarsi con il portafoglio, sono affari suoi.
Ma dentro di me rimane comunque un’ombra. Vorrei che il matrimonio fosse sull’amore, non sui conti. E credo che Bea e Matteo andranno bene. Sono giovani, forti, si amano. E la dote… Donatella può tenersi le sue macchine. La vera dote di Bea è il suo cuore, la sua intelligenza e la sua bontà. E con quello, in qualsiasi famiglia, varrà più dell’oro.