Seduta in cucina, bevo il mio tè in silenzio, come sempre — ma dentro di me infuria una tempesta.
In un paesino vicino a Napoli, dove la brezza marina porta con sé il profumo della libertà, la mia vita a 52 anni è diventata una lotta silenziosa. Mi chiamo Elena Rossi, e vivo in un bilocale con mio figlio Matteo e la sua ragazza Chiara. Sono tre mesi che viviamo stretti in tre, e ogni giorno sento la mia casa, il mio rifugio, trasformarsi in un luogo estraneo. I piatti sporchi sul tavolo non sono solo disordine: sono il simbolo della mia solitudine e del mio dolore.
**Mio figlio, la mia casa**
Matteo è il mio unico figlio, la mia orgoglio. L’ho cresciuto da sola dopo la morte di mio marito, dandogli tutto l’amore che avevo. È diventato un ragazzo buono, anche se un po’ sbadato. A 25 anni ha conosciuto Chiara, e io ero felice per lui. Sembrava una ragazza dolce: sorridente, con i capelli lunghi, sempre educata. Quando Matteo mi ha detto che Chiara sarebbe venuta a vivere con noi, non ho protestato. «Mamma, sarà solo per un po’, finché non troviamo un posto nostro», mi ha promesso. Ho annuito, convinta che saremmo riusciti a convivere. Che errore.
Il mio appartamento è un bilocale accogliente, pieno di ricordi. Qui ho gioito per i primi passi di Matteo, qui io e mio marito sognavamo il futuro. Ora, però, è diventata una gabbia stretta. Loro hanno preso la stanza più grande, mentre io mi accontento di quella piccola, dove a malapena entra il letto. Cerco di non intralciarli, ma la loro presenza mi soffoca. Vivono come se io non ci fossi, e io, come un’ombra, li osservo in silenzio.
**Piatti sporchi e indifferenza**
Ogni mattina mi siedo in cucina, bevo il tè e guardo la pila di piatti sporchi lasciati dopo la loro colazione. Chiara prepara le uova, Matteo beve il caffè, ridono, e poi escono — per lavoro, dagli amici, per le loro faccende. Io resto con i loro piatti, le tazze, le briciole. Li lavo perché non sopporto il disordine, ma ogni volta sento montare la rabbia. Perché non pensano a me? Perché non sistemano nulla? Non sono la loro domestica, ma loro sembrano credere il contrario.
Chiara non offre mai aiuto. Può passarmi accanto mentre parla al telefono, senza neanche salutarmi. Matteo, il mio bambino che un tempo mi abbracciava ogni mattina, ora quasi non mi vede. «Mamma, tutto bene?», mi dice di fretta uscendo di casa, e io annuisco, nascondendo il dolore. La loro indifferenza è come un coltello. Mi sento invisibile nella mia stessa casa, dove ogni angolo è intriso dei miei ricordi.
**Un dolore nascosto**
Ho provato a parlare con Matteo. Una volta, mentre Chiara era al lavoro, gli ho detto: «Figlio mio, è dura per me. Non pulite, non aiutate. Mi sento un’estranea». Lui mi ha guardato sorpreso: «Mamma, ma sei tu che fai sempre tutto. Chiara è stanca, anch’io. Non iniziare». Le sue parole mi hanno ferito. Davvero non vede che anche io sono stanca? A 52 anni lavoro come commessa, sposto scatole, sto in piedi tutto il giorno. Ma per loro sono solo uno sfondo, che deve essere comodo e silenzioso.
Ho notato che Chiara sposta le mie cose. Le mie pentole, le mie foto, persino la mia tovaglia preferita — tutto ora “non va bene”. Lo fa senza parlare, ma nei suoi occhi leggo: vuole essere la padrona di casa. E io? Io sono di troppo. La mia amica Anna mi dice: «Elena, cacciali via! Questa è casa tua!». Ma come faccio a cacciare via mio figlio? Come dirgli che la sua ragazza mi sta rendendo la vita un inferno? Ho paura di perderlo, ma ancora di più ho paura di perdere me stessa.
**L’ultima goccia**
Ieri Chiara non ha lasciato solo i piatti sporchi, ma anche gli asciugamani bagnati sul divano. Le ho chiesto di sistemarli, ma ha sbuffato: «Elena, ho fretta, dopo ci penso». Non ci ha pensato. Matteo, come al solito, non ha detto nulla. In quel momento ho capito: non ce la faccio più. La mia casa non è il loro albergo, e io non sono la loro addetta alle pulizie. Voglio riprendermi la mia vita, la mia pace, la mia dignità.
Ho deciso che parlerò seriamente con Matteo. Gli dirò che devono rispettare la mia casa, oppure cercarsi un altro posto. Sarà difficile — so che Chiara lo metterà contro di me, so che potrebbe offendersi. Ma non posso più stare zitta, seduta davanti a una tazza di tè, mentre la mia anima grida. Merito rispetto, anche se dovrò sacrificare la pace in famiglia.
**Il mio cammino verso la libertà**
Questa storia è il mio grido per il diritto di essere ascoltata. Matteo e Chiara forse non vogliono ferirmi, ma la loro indifferenza mi sta uccidendo. Ho dato tutto a mio figlio, e ora mi sento un’estranea nella mia casa. Non so come andrà il nostro discorso, ma so che non sarò più un’ombra. A 52 anni voglio vivere, non nascondermi dietro i piatti sporchi. Che questo passo sia la mia salvezza — o la mia battaglia. Io sono Elena Rossi, e riavrò la mia casa.