Sono quattro anni che non parlo con mia madre. E no, non mi vergogno.

Sono già quattro anni che non parlo con mia madre. E no, non mi vergogno.

Quando mi sono sposata, avevo appena ventidue anni. Io e Marco, mio marito, avevamo appena finito l’università e ci eravamo trasferiti in un piccolo appartamento affittato, un po’ malandato, nelle periferie di Firenze. I soldi erano pochi, ma allora sembrava una sciocchezza: eravamo giovani, innamorati e pieni di sogni per il futuro.

Ci aggrappavamo a qualsiasi lavoro. Marco lavorava senza un giorno di riposo: faceva il muratore, il fattorino, di notte faceva la guardia. Nemmeno io stavo con le mani in mano: mattine al supermercato, serate a fare ripetizioni. Tutto per mettere da parte qualcosa per una casa nostra, anche un monolocale, magari con un mutuo.

Passò poco più di un anno. Alla festa per il compleanno di mia madre, Marco, dopo un brindisi, tirò fuori l’idea: perché non ci trasferivamo dai miei genitori? Intanto lui avrebbe fatto una ristrutturazione completa. Mia madre, a quanto pare, aveva promesso di non chiederci un euro. Rimasi scioccata: non ne avevamo mai parlato prima. Ma tutti – lei, lui – insistevano: “Sarà meglio, risparmieremo, ci aiuteremo, siamo famiglia”. Mi arresi.

All’epoca, mia sorella minore Claudia aveva già diciotto anni. Era sempre fuori, a passeggiare o a dormire da amiche. Con Marco non parlava molto, ma mia madre ne era completamente incantata. Per lei era il genero perfetto: metteva le piastrelle, cambiava la carta da parati, riparava il rubinetto. E aiutava anche le vicine, le sue amiche in pensione – non per piacere, ma perché glielo chiedeva mia madre.

Mio padre era felice: finalmente non doveva più aggiustare armadi o rubinetti per gli altri.

Con mia sorella, però, i rapporti erano tesi. Mi attaccava per ogni cosa, montava scenate dal nulla. Cercavo di ignorarla: capivo che voleva cacciarci. E tacevo.

Un venerdì, i miei genitori partirono per la casa al mare, io e Marco restammo soli in casa. Lui stava finendo il pavimento in cucina, io lavavo le finestre. Poi Claudia arrivò con un ragazzo. Aveva un’aria che faceva paura solo a vederlo vicino al portone: barba lunga, giacca sgualcita, scarpe sporche. Passarono ore nella sua stanza, poi uscirono. Io, da adulta, non dissi nulla – che se la sbrigasse da sola, pensai.

La sera dopo, mio padre scoprì che erano spariti dei soldi – una bella somma, messa da parte per riparare l’auto. Mia madre, ovviamente, saltò addosso a Claudia, e io – da stupida! – parlai del “visitatore”. Pensavo che la giustizia avrebbe fatto il suo corso.

Ma sapete chi diventò la colpevole? Io.

— Perché non me l’hai detto?! — urla mia madre. — Gliel’ho ripetuto mille volte, niente ragazzi in casa! E se fosse rimasta incinta, te ne saresti occupata tu?!

Provai a spiegare che Claudia era maggiorenne, che non ero sua madre né la sua babysitter. Ma lei continuava a inveire. A un certo punto, ci cacciò via, me e Marco. Per strada. Senza spiegazioni. Gridando:

— Basta, mi avete stufato! Avete finito i lavori? Bravo. Adesso fuori!

Mio padre restò in un angolo, muto come un’ombra, poi prese la sua dose di insulti:

— Se tu fossi capace a fare qualcosa, non mi servirebbe un genero!

Fine. Ce ne andammo. Marco non disse una parola. Io singhiozzai.

Più tardi, mia madre chiamò, chiedendo di tornare. Non risposi. E da allora non lo faccio più. Quattro anni.

Ricominciai a vivere in affitto, risparmiando ogni centesimo, e ora – abbiamo una casa nostra. Piccola, con un mutuo, ma nostra. A dicembre firmeremo i documenti.

Claudia, intanto, ha sposato quel ragazzo. Sì, proprio quel “vagabondo”. Adesso vivono dai miei genitori. Marco ride: «Vedi, i lavori di ristrutturazione sono serviti a qualcosa». Non deve più metterci mano. Nessuno li caccia, mia madre li tratta come re.

A volte mi brucia fino alle lacrime. Abbiamo dato tutto: tempo, fatica, nervi – e alla fine ci hanno buttati fuori. Perché abbiamo detto la verità. Perché “non eravamo più comodi”. E ora che ha un vero problema in casa, tace.

Ma pazienza. Pazienza. Noi non torneremo. E se dovesse succedere di nuovo – un furto, un inganno, un’offesa – non ci muoveremo. Abbiamo già fatto tutto il possibile.

Ora ho la mia vita. Senza le critiche di mia madre, senza pianti, senza urla. E sapete una cosa? Mi sento più leggera.

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