“Non vi lascerò. Te lo prometto”: come uno sconosciuto è diventato padre per amore
— Signore… per favore, prendete mia sorella. Ha fame…
Quella vocina, quasi soffocata dal rumore della città, colse di sorpresa Luca Romano. Camminava veloce, quasi correndo, con la mente piena di pensieri sull’affare che avrebbe chiuso quel giorno. Milioni, contratti, fiducia degli investitori. Dopo la morte di Sofia, sua moglie, il suo unico mondo, il lavoro era l’unica cosa che lo teneva a galla.
Ma quella vocina…
Si fermò e si voltò.
Davanti a lui c’era un bambino di sette anni. Magrolino, vestito con abiti logori, gli occhi lucidi di lacrime. Tra le braccia stringeva un fagotto avvolto in una coperta sbiadita: una bambina che piagnucolava piano, mentre il fratello la stringeva come se da quell’abbraccio dipendesse tutto.
— Dov’è vostra madre? — chiese Luca, accovacciandosi.
— Ha detto che sarebbe tornata presto… ma sono già due giorni che non la vediamo — sussurrò il bambino. — L’aspetto qui…
Il bambino si chiamava Matteo, la bambina Ginevra. E non avevano nessun altro. Nessun biglietto, nessun indirizzo, solo fame e attesa infinita. Luca propose di chiamare la polizia, di avvisare i servizi sociali, di comprare cibo. Ma alla parola “polizia”, Matteo trasalì.
— Per favore, non ci portate via… Ginevra ve la prendono…
In quel momento, Luca capì che non sarebbe mai riuscito ad andarsene. Qualcosa dentro di lui, indurito dal dolore, si incrinò.
Entrarono in una caffetteria vicina. Matteo mangiò voracemente, come se qualcuno potesse togliergli il cibo da un attimo all’altro. Luca diede il biberon alla piccola Ginevra. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentiva di essere utile. Non come imprenditore. Come persona.
— Cancella tutti gli appuntamenti — disse secco al telefono al suo assistente.
Arrivarono i carabinieri. Domande, protocolli, tutto come sempre. Ma quando Matteo gli afferrò la mano e sussurrò: «Non ci abbandonerete… vero?» Luca non capì neanche come, ma rispose:
— No. Non vi lascerò. Te lo prometto.
L’affidamento fu temporaneo. Lo aiutò un’amica di vecchia data, Margherita De Luca, assistente sociale. Grazie a lei, tutto procedette in fretta. Luca continuava a ripetersi: “Solo finché non trovano la madre”.
Portò i bambini a casa sua, un grande appartamento silenzioso. Matteo taceva, stringendo Ginevra. Nei loro occhi c’era paura, ma non di lui: della vita. La casa, già piena di solitudine, ora aveva respiri, movimenti, pianti e la voce di Matteo che cantava ninne nanne alla sorellina.
Luca sbagliava i pannolini, dimenticava le poppate, non sapeva come tenere il biberon. Ma Matteo lo aiutava in silenzio, serio oltre i suoi anni. Senza lamenti. Solo una volta disse:
— Non voglio che lei abbia paura.
Una notte, Ginevra piangeva. Matteo la prese in braccio e iniziò a canticchiare. La bambina si calmò. Luca guardava, con un groppo in gola.
— Sei bravissimo — disse.
— Ho dovuto imparare — rispose Matteo, senza amarezza.
Poi squillò il telefono. Era Margherita.
— Abbiamo trovato la madre. È viva, ma in riabilitazione. Dipendenze, condizioni gravi. Se guarirà, potrà riaverli. Altrimenti, lo Stato li affiderà. Oppure… potresti essere tu.
Luca tacque.
— Potresti chiedere l’affidamento. O l’adozione. Dipende da te.
Quella sera, Matteo disegnava in un angolo. Non giocava, non guardava cartoni: disegnava. Poi chiese in un soffio:
— Ci porteranno via di nuovo?
Luca si sedette accanto a lui.
— Non lo so… Ma farò di tutto per proteggervi.
— E se invece ci prendono? — sussurrò Matteo, con una voce fragile.
Luca lo abbracciò.
— Non vi lascerò. Te lo prometto. Mai.
Il giorno dopo chiamò Margherita:
— Voglio chiedere l’adozione. Per sempre.
Iniziarono controlli, colloqui, visite. Ma ora Luca aveva una missione: tenere quei bambini con sé. Comprò una casa in campagna, con un giardino, silenzio e sicurezza. Matteo rinacque: correva sull’erba, leggeva ad alta voce, disegnava, preparava biscotti. Luca imparò a ridere di nuovo.
Una sera, mentre lo copriva con la coperta, sentì:
— Buonanotte, papà…
— Buonanotte, figlio mio — rispose, con la gola stretta.
In primavera, l’adozione divenne ufficiale. C’era una firma sul documento, ma nel cuore di Luca tutto era già chiaro.
La prima parola di Ginevra — «Papà» — divenne il suono più bello della sua vita.
Non aveva mai pensato di diventare padre. Ma ora non sapeva come avesse fatto a vivere senza di loro. E se qualcuno gli avesse chiesto quando fosse ricominciata la sua vita, avrebbe risposto senza esitare:
— Dal giorno in cui ho sentito quel «Signore, per favore…».