Nella casa aleggiava un’aria di caos imminente. Lidia lo percepì ancora prima di varcare la soglia dell’appartamento. Nelle scale si spandeva un acre odore di bruciato e il pavimento era allagato d’acqua saponata, come dopo un nubifragio. Aprendo la porta, Lidia appoggiò sul mobiletto un mazzo di fiori portati dal lavoro, si tolse le scarpe che l’avevano torturata tutto il giorno e infilò le vecchie ciabatte da casa. Anche se gli stivali di gomma sarebbero stati più adatti – nell’ingresso c’era ancora più acqua che sulle scale. Dal fondo della casa si sentiva il fioco miagolio del gatto, mentre in qualche stanza qualcosa sfrigolava, ronzava e scoppiettava in modo sospetto.
“Massimo, ma che diavolo succede?!” gridò Lidia, sentendo l’ansia montarle dentro.
Un attimo dopo, nella soglia della porta apparve il marito. In mutande, scalzo, con il viso coperto di fuliggine, graffi profondi e un bel livido sotto l’occhio. In testa sfoggiava un asciugamano annodato come un turbante, come se fosse appena scappato da un bazar orientale.
“Lidina, sei già tornata?” borbottò Massimo, tirando nervosamente l’angolo dell’asciugamano. “Pensavo avessi la cena aziendale, sei il capo, saresti stata lì fino a notte a fare brindisi…”
Lidia sospirò profondamente, si lasciò cadere sul vecchio pouf all’ingresso e, trattenendo l’irritazione, chiese:
“Racconta, Massimo. Cos’hai combinato stavolta?”
“Allora, tesoruccio,” iniziò lui, balbettando, “non ti arrabbiare, ti prego!”
“Mi arrabbiai quando negli anni ’90 i criminali ci minacciavano per l’azienda,” tagliò corto Lidia. “Mi preoccupai quando i soldi sui conti evaporarono con il default. Impazzii quando la crisi quasi ci finì. Dopo tutto questo, potresti anche inondarmi la casa. Spicciati, che circo hai combinato qui?”
“Insomma…” Massimo esitò, massaggiandosi il livido. “Volevo farti una festa. Una sorpresa, capisci? Ho deciso di pulire, lavare, preparare la cena. Ho preso un giorno libero, caricato la lavatrice, sono andato al mercato… Ecco, prima al mercato, ho comprato la carne, ma cominciò a perdere.”
“La carne?” chiese Lidia, strizzando gli occhi.
“No, la lavatrice!” esclamò Massimo. “Ma non subito. Misi la carne nel forno, iniziai a pulire e il gatto…”
“È vivo?” Lidia alzò un sopracciglio.
“Certo che è vivo!” borbottò Massimo offeso. “Solo un po’ bagnato. Vedi, quando ho acceso la lavatrice, non c’era il gatto, lo giuro! Poi… in qualche modo ci è finito dentro.”
“Come?!” Lidia si protese in avanti. “Come ha fatto il gatto a entrare in una lavatrice chiusa?”
“Non lo so,” Massimo allargò le braccia. “Forse ha teletrasportato. Sai com’è, i gatti sono furbi.”
Lidia chiuse gli occhi, inspirò profondamente e disse con freddezza:
“Continua, Massimo. Diventa sempre più interessante. Ma prima fammi vedere il gatto. Voglio assicurarmi che stia bene.”
“Ehm, stellina,” esitò Massimo, “dovremmo andare da lì. Lui… è laggiù…”
“Spero che abbia ancora tutte le zampe,” Lidia osservò il viso graffiato del marito.
“Oh, più che mai!” confermò Massimo cupo, strofinandosi la guancia. “Solo temporaneamente… immobilizzate. Per la sua sicurezza.”
“Va bene, ne parleremo dopo,” Lidia agitò una mano. “E poi?”
“Beh, mentre il gatto… ehm, si lavava, sentii puzza di bruciato. Corsi in cucina, aprii il forno e la carne stava prendendo fuoco! Mi sono scottato le dita, ho versato dell’olio e quello è scoppiato! I capelli si sono accartocciati, fumo ovunque, io cerco di spegnere e il gatto urla. Corro alla lavatrice e lo vedo – occhi sbarrati nel oblò, come un prigioniero. Spengo tutto, voglio aprire, ma la lavatrice si è bloccata. Il gatto urla, la cucina brucia, la faccia mi fa male, i capelli fumano… Ho preso il piede di porco e la lavatrice ha cominciato a perdere. Il gatto è scappato, correva per casa urlando come un pazzo, ha rotto tre vasi, scorticato la carta da parati, tirato giù le tende, versato lo spumante che avevo preparato per te. I vicini di sotto battevano sui termosifoni e gridavano che ci avrebbero castrati. Non so se intendessero il gatto o me. Ma insomma, tutto sotto controllo, Lidia, non preoccuparti!”
Lidia asciugò una lacrima – non si capiva se di riso o di terrore – e, spingendo via Massimo, entrò in casa. Il disastro era epico. Il pavimento allagato, in cucina una padella fumava ancora, la carta da parati penzolava e l’aria sapeva di carne carbonizzata e vendetta felina. Il gatto, inchiodato al termosifone con tutte e quattro le zampe legate, aveva la faccia avvolta in una vecchia sciarpa. Ma almeno era vivo, e quello già era un miracolo.
“Lidina, non voleva stare fermo sul termosifone,” si affrettò a giustificarsi Massimo. “Avevo paura che non si asciugasse prima che tornassi. Non riuscivo a strizzarlo, si divincolava. Ho dovuto legarlo e coprirgli la bocca per farlo stare zitto. I vicini minacciavano di chiamare la polizia, i pompieri e una vecchia strega per maledirci.”
Senza dire una parola, Lidia slegò il gatto, lo asciugò con l’asciugamano strappato dalla testa di Massimo e gli liberò la faccia. Il gatto, liberato, fece un soffio furioso e si nascose sotto il divano.
“Massimo, sei proprio un eroe,” disse Lidia stanca. “Il gatto stava quasi soffocando. Anche se dopo la lavatrice credo che non abbia più paura di niente. Come me.”
Si lasciò cadere sul divano, stringendo il gatto, e guardò il marito.
“Allora?”
“Cioè?” Massimo batté le palpebre confuso. “Devo cacciarmi subito al patibolo o vuoi farmi penare ancora?”
“Augurami buona festa, scemo,” sospirò Lidia. “Oggi è l’8 marzo.”
Massimo si illuminò, corse nella stanza accanto e tornò nascondendo qualcosa dietro la schiena. Si inginocchiò davanti a Lidia, raggiante nonostante il livido e la fuliggine sul viso.
“Lidina, sole mio,” iniziò solennemente. “Siamo insieme da trent’anni e ogni giorno mi sorprendi. Sei la donna più bella, saggia, paziente, forte e amorevole, madre e nonna. Ti auguro una buona Festa della Donna e rimani la meraviglia che sei. Ecco.”
Le porse una scatolina con un anello d’oro e un mazzo di rose – stropicciate, malconce, ma ancora vive.
“I fiori erano bellissimi, davvero,” aggiunse imbarazzato. “Solo che il gatto… non li ha risparmiati. Non arrabbiarti, Lidia. Volevo farti una festa speciale. Con il cuore.”
Lidia attirò a sé la testa delLidia annusò di nuovo i fiori, poi sospirò e baciò Massimo sulla fronte sporca di fuliggine, dicendo: “Dai, amore mio, andiamo a pulire prima che i vicini ci mandino davvero la strega.”