Tra suocera e buon senso: come una donna ha deciso di lasciare il “mammone

Tra madre e buonsenso: come Giulia decise di lasciare il “mammone”

Giulia non avrebbe mai immaginato che il suo matrimonio sarebbe diventato ostaggio di un terzo incomodo: una donna che si definiva “solo una madre premurosa”. Con Davide si era conosciuta da donna matura, autonoma, consapevole. Non un adone, non un latin lover, ma con uno sguardo calmo, una voce gentile e — così le era parso — un cuore buono. L’aveva conquistata non per l’aspetto, ma perché sembrava sincero, tranquillo, affidabile. Ma il suo vero volto lo rivelò la suocera quando entrò nelle loro vite — per restarci, come un’ombra senza intenzione di svanire.

Giulia sapeva cosa significava essere forte. All’università, una compagna arrogante aveva provato a rubarle la tesi di laurea. Lei, per la prima volta, si era alzata e aveva difeso il suo nome. Da allora, non si era più lasciata calpestare. Quella forza l’aveva portata lontano: carriera, indipendenza, un’eleganza che incuteva rispetto. Le donne la ammiravano e la temevano per la sua schiettezza, gli uomini per la sua inaccessibilità. Eppure, Davide era riuscito a sfondare la sua corazza.

Il matrimonio fu sobrio, ma pieno di speranza. Fino al primo compleanno insieme. La suocera, arrivata prima di tutti, iniziò subito: “Sei la padrona di casa e qui è un porcile!” — anche se l’appartamento splendeva. Poi dichiarò che non ci sarebbe stato festeggiamento: “Faremo una cosa in famiglia”. Giulia non accettò. Cacciò la suocera e, dietro di lei, il marito che aveva preso le parti della madre. La festa fu magnifica anche senza di loro.

Più tardi, Davide tornò con fiori e scuse: “Mamma ti manda gli auguri”. Giulia lo perdonò. Ma capì: non era la fine, solo una tregua. Col tempo, Davide cominciò a passare sempre più tempo da sua madre, e lei, come in un gioco, diventò “amica” della nuora. La invitava per il tè, chiedeva aiuto. Giulia andava, taceva, osservava. Fino a una telefonata.

“Emergenza, vieni subito. Porta anche Davide!” — disse la suocera. Li accolse sulla soglia: “Pulizie. Mia sorella arriva domani. Davide va a fare la spesa, tu lavi e cucini. Niente storie, come al tuo compleanno”. Davide, ubbidiente come un bambino, annuiva.

Giulia respirò a fondo. Poi, con calma:

“Certo. Ma non avete i detersivi giusti. E qui servono quelli.”

“Qui abbiamo il bicarbonato… e la senape” — borbottò la suocera.

“No, no, passo a casa e prendo tutto. Davide vada a fare la spesa.”

Al ritorno, Giulia non portò nemmeno una goccia di detersivo. Solo valigie — piene delle cose di Davide. Le depositò nell’appartamento della suocera e disse:

“Ecco tutto ciò che serve. Ma ora, se permetti, vado dalla vicina. I detersivi, sai, fanno male.”

La suocera, preoccupata per il ritardo, andò a controllare. Aprì la porta e sussultò. Caos. Non disordine — caos perfetto, studiato, elegante. Vestiti sparsi, farina, impronte sugli specchi, pavimenti lucidati a dovere e, al centro, le valigie. Davide era dietro, smarrito.

“Chiamo la polizia!” — gridò la suocera.

Ma la polizia alzò le spalle:

“Tutto è a posto. Il caos non è reato.”

Quella notte, Giulia non rispose al telefono. Si chiuse in casa, lontana dal loro mondo. Il mattino dopo, andò in tribunale. Chiese il divorzio. Non c’era nulla da dividere: l’appartamento era in affitto, le poche cose erano sue. La vecchia casa di Giulia, quella che affittava, ora l’attendeva.

Quando infine dovette rivedere Davide, gli disse con calma:

“La tua unica moglie è tua madre. Vivi con lei. Io voglio essere una moglie, non una serva. E non ho imparato ad amarmi per dimenticarmelo di nuovo.”

Se ne andò. Senza urla. Senza lacrime. Semplicemente — per sempre.

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