Quando l’estraneo diventa familiare: la storia di un uomo ritrovato e una donna che gli ha ridato sé stesso

Oggi scrivo di un giorno che ha cambiato tutto. Eravamo a Roma, e la vita mi ha regalato un incontro inaspettato.

«Nessun documento? Nemmeno un nome?» — chiese Elena Martini, fissando la cartella clinica con una lieve ruga sulla fronte. La sua voce era calma, ma negli occhi si leggeva preoccupazione.

«Niente» — rispose l’assistente anziana. «L’abbiamo trovato su una panchina al parco. Era una notte gelida, meno venti gradi, ipotermia quasi critica. Aveva anche un ematoma alla nuca, forse una caduta. Ma è vivo, per miracolo.»

Elena osservò il paziente — un uomo sulla quarantina, pallido, con peli grigi nella barba incolta. Sotto la flebo, respirava regolarmente. Non sembrava un vagabondo: mani curate, unghie pulite.

«Sono cinque giorni che è qui» — sospirò il medico. «La polizia ha controllato ogni database, nessuna corrispondenza. Se non lo identifichiamo, tra una settimana verrà trasferito al centro sociale.»

«Posso parlargli?» — disse Elena, quasi senza pensarci. Qualcosa la spingeva verso di lui. Era l’istinto, o qualcos’altro.

«Buongiorno. Come si sente?» — entrò nella stanza con un sorriso.

«Meglio, grazie. Stamattina ho sognato… un campo. Piante strane, mai viste. Le toccavo, le studiavo…» — la sua voce era calma, quasi nostalgica.

«Un buon segno» — misurò la pressione. «Forse la memoria tornerà. Come posso chiamarla?»

L’uomo rifletté.

«Andrea… credo di chiamarmi Andrea.»

Qualche giorno dopo, seduto sul letto, fissò le mani.

«Domani mi dimettono. Sa cosa mi spaventa? Non è solo il non ricordare… ma non so dove andare. Chi sono, qual è il mio posto.»

Elena lo osservò a lungo, quegli occhi grigi così tranquilli, e infine disse:

«Ho una stanza libera. Può restare da noi, finché non troverà le sue risposte.»

«Ma chi ti sei portata a casa?!» — sbottò suo figlio Marco. «Mamma, è un estraneo! Non sa nemmeno chi è!»

«A volte bisogna fidarsi» — rispose piano. «Lo sento, non è pericoloso. Anzi, ha più paura di noi.»

Andrea non dava fastidio. Si alzava presto, mangiava in silenzio, lavava i piatti, aggiustava gli scaffali. Era come un’ombra, discreto, quasi invisibile.

Ma tutto cambiò quando Marco tornò da scuola arrabbiato.

«Ho preso un insufficienza in matematica» — borbottò.

«Vuoi che ti aiuti?» — propose Andrea. «L’algebra è una lingua. Se la capisci, tutto diventa chiaro.»

Marco lo guardò dubbioso, ma due ore dopo lo ascoltava a bocca aperta.

«Lei sarà stato un professore!»

«Non lo so… ma grazie.»

Più tardi, Giulia, l’amica di Elena, arrivò entusiasta.

«Il tuo Andrea ha salvato i fiori del mio cliente! Stavano morendo tutti, e lui in due giorni ha trovato il problema. Diceva che l’acqua aveva una composizione sbagliata. Parla con le piante come fossero persone!»

«Forse è un botanico?» — si stupì Elena.

«Non lo sa, ma quando ne parla… sembra che le capisca davvero.»

Una sera, Marco corse da lei.

«Mamma, suona il pianoforte! Ha appena iniziato, la “Sonata al chiaro di luna”. Non l’ho mai sentita così!»

Andrea si strinse nelle spalle.

«Non ricordo di averlo mai fatto… ma le mie dita sì.»

Di notte, però, camminava inquieto per la stanza.

«Sento che è tutto lì, vicino. Volti, luoghi, odori… ma è come un film muto. Mancano le parole, la luce.»

Passarono tre mesi.

Un giorno, al mercato, uno sconosciuto lo chiamò:

«Simone! Sei tu! Simone Bianchi!»

«Si sbaglia» — intervenne Elena. «Lui si chiama Andrea.»

«No! È Simone Bianchi, botanico. Ci siamo visti a un convegno un anno fa!»

Andrea tacque, poi sussurrò:

«Non ricordo… ma se nel mio passato c’è qualcosa di brutto?»

Quella sera, un uomo magro bussò alla porta.

«Daniele Moretti, investigatore privato. Cerco uno scienziato scomparso un anno fa. Qualcuno l’ha riconosciuto e mi ha avvisato.»

Andrea uscì in silenzio.

«Lei è Simone Bianchi?»

«Non lo so. Ho un’amnesia.»

L’investigatore gli mostrò una foto. C’era lui, ma diverso: capelli ordinati, occhiali. Accanto, una donna dallo sguardo freddo.

«Sua moglie, Laura. È lei che mi ha assunto.»

Quando restarono soli, Andrea sussurrò:

«Non la ricordo. E non voglio farlo. Se fosse stato amore… come potrei averlo dimenticato?»

Poco dopo arrivò Laura. Fredda, composta. Nessun abbraccio, nessun bacio.

«Partirai con me domani.»

«Non sono pronto» — rispose lui.

«Basta con questa farsa.»

«Chi è Luca Ferri?»

Lei sussultò. «Come fai a saperlo?!»

«Voglio sapere tutto. Sul progetto. Sul tradimento.»

Quella notte, Andrea andò da Elena.

«Ho ricordato. Non tutto, ma l’essenziale. Questo taccuino…» — mostrò un quaderno consumato. «Contiene le mie scoperte. Ho trovato una nuova specie di pianta, con proprietà uniche. Luca voleva rubarmi tutto, e Laura era coinvolta. Li ho sentiti, sono fuggito in montagna per riflettere… ma poi una caduta, un colpo alla testa… e il buio.»

La mattina dopo, Marco irruppe nella stanza.

«Mamma! Ha sentito Laura parlare con Luca! Vogliono portarlo via prima che trovi le prove!»

«Troppo tardi» — disse Andrea con calma. «Qui c’è tutto. Questo taccuino è la mia arma. Andrò dalla polizia, o all’università. La verità deve uscire.»

Laura tornò.

«Simone, andiamo.»

«No.»

«Non sai con chi hai a che fare…»

«Ora lo so. Addio.»

Quando lei se ne andò, sbattendo la porta, Andrea guardò Elena.

«Rimarrò. Se per te va bene.»

«Per me va benissimo.»

Sei mesi dopo, sul balcone c’erano decine di vasi. Marco aveva preso un bel voto, Elena sorrideva.

«Non pensavo che un incontro potesse cambiare tutto.»

«A volte perdersi è solo il modo per ritrovarsi» — disse lui, prendendole la mano. «Ho ritrovato me stesso… e ho trovato voi.»

Primavera. Una vita nuova.

La mia storia.

Vera.

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