Cosa ha scoperto in lui dopo dieci anni

Cosa ha trovato in lui – dopo dieci anni

Era una giornata che sembrava non arrivare mai. Dieci anni esatti dall’ultima campanella nella nostra piccola scuola di campagna vicino a Verona, e finalmente, quasi tutta la nostra 5ª B era di nuovo riunita in quell’aula così familiare. Mancavano solo Luca, sempre in giro per lavoro, e Giulia, a casa con il suo neonato.

Poi la porta si aprì, ed entrò lei.

Alessia.

Proprio lei. Quella per cui metà della classe aveva il fiato corto. Quella col sorriso che ti faceva perdere l’equilibrio. Ed eccola lì, di nuovo con noi. Solo che adesso aveva un anello al dito e lo stesso sorriso dolce, come se il tempo non l’avesse mai sfiorata.

“Marco, non sei cambiato per niente!” mi disse dall’altro lato del tavolo.

Volevo rispondere con qualcosa di spiritoso, ma mi si seccò la gola. Tutto come allora. Solo che adesso non avevamo più diciassette anni.

All’epoca noi ragazzi facevamo i cretini. Sei imbranati innamorati persi della stessa ragazza. Di Alessia. Intelligente, bellissima, la migliore della classe. E soprattutto, aveva una luce dentro. Era amica di tutti, non flirtava con nessuno, non faceva preferenze. E questo ci faceva impazzire ancora di più.

“Perché le correte dietro come cagnolini affamati?” sibilava Elena Rossi, la ragazza del banco accanto, piena di veleno.

“Ti brucia la gelosia?” ribatteva Antonio.

Io non avevo notato che le sue mani si erano strette. Non avevo capito che i suoi occhi brillavano non per la rabbia, ma per le lacrime.

Intanto Alessia cominciava a restare dopo scuola sempre più spesso con Enrico Bianchi. Timido, riservato, quasi invisibile. Uno di quelli di cui si dice “non sembra nemmeno esserci”. Però le portava lo zaino. Andava con lei in biblioteca. E soprattutto, la ascoltava.

“Ma cosa ci trova in lui?” sbuffavo. “È così insipido!”

“Però ha più pazienza di tutti noi messi insieme,” rise Antonio.

Le ragazze invidiavano Alessia da morire. Soprattutto Elena. Noi non lo vedevamo, troppo accecati. E poi successe quello che ci distrusse una volta per tutte.

Era un giorno qualsiasi. Prima di pranzo. Alessia entrò in classe, si sedette… e subito si alzò di scatto urlando. Aveva la schiena e il vestito completamente coperti di gelatina alla fragola. Quel giorno l’avevano servita in mensa. La macchia era disgustosa. Alessia, rossa di vergogna, scappò via. E noi cominciammo ad urlarci addosso. Sospetti volavano come pietre: “L’hai fatto per gelosia!”, “È stato apposta!”, “Sicuramente è stata Elena!” Ero convinto che fosse stata lei. Non riuscivo a perdonarla.

Da quel giorno, la nostra classe “unita” si sfaldò. I rancori bollivano, i sospetti ci divoravano. Non andammo nemmeno al ballo di fine anno. Nessuna foto insieme. Solo i diplomi, e poi ognuno per la sua strada. La professoressa pianse in silenzio in sala insegnanti. Noi non dicemmo nulla.

E oggi…

Oggi Alessia è seduta davanti a me. Lo stesso sorriso, solo più calmo, più maturo. Scoprimmo che era stata lei a cercarci tutti – sui social. Aveva creato un gruppo. Riunito la nostra classe dispersa nel virtuale, e poi nella realtà. E all’improvviso ricordammo che una volta eravamo stati vicini. Che facevamo parte di qualcosa di più grande. Ridemmo insieme, in quell’aula, come se il tempo si fosse ripiegato.

Poi Alessia chiamò qualcuno dal corridoio. Ed entrò un ragazzo alto. La faccia mi era dolorosamente familiare. Era suo fratello minore, Matteo, che ricordavamo come un ragazzino mingherlino col naso sempre gocciolante.

“Dai, diglielo! Avevi promesso!” lo spinse Alessia.

Matteo esitò. Poi confessò:

“Sono stato io a rovesciare la gelatina. Alessia mi aveva fatto riscrivere due volte i compiti, e io… beh, mi sono vendicato.”

Un silenzio pesante calò sulla stanza. Avevamo perso il nostro ballo di fine anno per un bambino e due cucchiai di gelatina. Veniva da ridere e piangere insieme.

Più tardi, tutti raccontavano le loro vite: chi faceva cosa, quanti figli avevano. Io tacevo. La mia vita non meritava storie. Poi Alessia si alzò e abbracciò Enrico. Proprio lui. Il timido. Il tranquillo.

“Siamo sposati da cinque anni,” disse semplicemente, come se parlasse del tempo.

Stringevo i denti. Non per rabbia. Per il dolore. Perché anche dopo tutti quegli anni, non ero riuscito a lasciar andare quel sogno di scuola.

Più tardi, quando il rumore si calmò, mi avvicinai a Enrico:

“Come hai fatto?”

Mi guardò sorridendo.

“Ricordi quando si ruppe una gamba dopo la scuola? Era andata a sciare.”

Annuii. Lo ricordavo benissimo. Ero persino andato a trovarla una volta – con delle caramelle. Ero rimasto sulla soglia, poi me n’ero andato.

“Io ci andavo ogni giorno. Pulivo, cucinavo, la aiutavo. Le leggevo. Poi mi sedevo semplicemente accanto a lei. Una volta scoppiò a piangere. Disse che aveva paura di non camminare più. Le promisi che se non avesse potuto camminare, l’avrei portata in braccio io. Per tutta la vita.”

Annuii, vuotai il bicchiere:

“Te la sei meritata. Non hai aspettato – sei stato presente.”

“L’ho solo amata. Senza condizioni. Senza calcoli. Senza sperare nulla in cambio.”

Mentre stavo per andarmene, Elena mi raggiunse.

“Marco, aspetta! Un brindisi per la strada?”

Mi voltai. Mi porse un bicchierino:

“Allora, capitano? Hai perso?”

Guardai la sala: Matteo russava con una bottiglia vuota tra le braccia, Enrico sistemava i capelli ad Alessia, ed Elena – bellissima, adulta – mi fissava come fossi il sogno che aveva aspettato troppo a lungo.

“No,” dissi, facendo tintinnare il bicchiere. “Semplicemente non ne ero degno.”

“Ho aspettato dieci anni per queste parole,” sussurrò lei. “Ora puoi essere libero. Ragazzo della mia gioventù.”

E finalmente capii quanto fossi stato cieco. Quante volte non l’avevo accompagnata a casa. Quante volte non avevo visto che era sempre stata lì.

“Che ne dici di fare una passeggiata?” proposi piano, accennando alla porta.

Si bloccò. Poi infilò il cappotto:

“Nessuna sciocchezza, Marco. Non sono più la ragazzina stupida di un tempo.”

“Non serve. Vorrei solo… rivederti con occhi nuovi.”

E uscimmo. Nell’aria quieta di Verona, dove forse, dopo dieci anni, tutto stava solo cominciando.

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