Storia di cuori solitari

La Storia dei Cuori Solitari

Alla vigilia di Capodanno, le ospiti di una casa di riposo in un piccolo paesino ai piedi delle Alpi aspettavano con speranza i loro figli. Quelle che non potevano camminare ascoltavano i racconti delle altre, che si affacciavano alle finestre sperando di scorgere sagome familiari. Ma la neve aveva coperto il sentiero che portava al cancello, e nessuno si era avvicinato dalla strada principale, già libera dalla neve. Il cortile era sommerso dai cumuli bianchi, come se a nessuno importasse delle anziane sole.

Anna Rossi aveva un figlio di cui parlava con orgoglio, anche se con un lieve senso di colpa verso le amiche. Il suo Luca era un architetto di successo, la nuora una contabile in un’importante azienda, e il nipote stava per laurearsi. Una famiglia perfetta, che le altre potevano solo sognare. Le amiche, invece, avevano figli che erano scappati, caduti nell’alcol, o persi chissà dove. Anna quasi si vergognava della sua fortuna, ma nel cuore sperava ancora che Luca non si dimenticasse di lei.

Di sera, le anziane si riunivano nella sala comune e, per tenere viva la memoria, si raccontavano le loro storie. Ripetevano vecchie storie, aggrappandosi ai ricordi come a un salvagente.

Anna, nei primi giorni in casa di riposo, aveva confidato all’amica Sofia di essere nata in un paesino sperduto della Calabria. Qualche anno prima, il figlio l’aveva convinta a lasciare la casa paterna. Le aveva promesso cure e una stanza accogliente nel suo appartamento. Il marito di Anna, ormai scomparso, non voleva trasferirsi, borbottando che la città non faceva per loro, ma alla fine aveva ceduto. Luca, sapendo che il padre era un veterano della Seconda Guerra Mondiale, aveva visto un vantaggio. Lo aveva registrato in città, e poco dopo la famiglia aveva ottenuto un ampio trilocale. La nuora, Giulia, non riusciva a trattenere le lacrime di gioia—prima vivevano ammassati in un piccolo appartamento.

Ma un anno dopo, il marito di Anna morì. Lei rimase sola, e il dolore la indebolì così tanto che ebbe un ictus. Miracolosamente si riprese, ricominciò a camminare, ma prendersi cura di lei diventò un peso per la famiglia. Giulia si irritava sempre più, sbattendo le porte e a volte gridando contro Luca. Anna sentiva tutto e, incapace di sopportare le litigate, chiese al figlio: “Portami in una casa di riposo, non voglio che litighiate per colpa mia.” Luca annuì in silenzio, e poco dopo Anna finì nella residenza per anziani.

Sofia aveva la sua disgrazia. Suo figlio, Matteo, era un uomo buono, ma la sua vita era andata in rovina. Era stato in prigione, ma prima di Capodanno sarebbe uscito. Sofia lo aspettava come si aspetta un miracolo. Raccontava che la colpa era della moglie, Elena. Lavorava in un negozio di alimentari e portava a casa salumi, formaggi e poi bottiglie di vino. All’inizio bevevano “per stare allegri”, ma presto diventò la loro vita. Elena fu licenziata, e lei e Matteo cominciarono a rubare. Prima svuotarono la casa di Sofia, poi si rivolsero ai vicini. Quando alla vecchia si bloccarono le gambe, non ce la fece più e chiese di entrare in casa di riposo, per non vedere il figlio scivolare nel baratro.

Matteo finì in carcere, ma nelle lettere giurava alla madre che sarebbe cambiato, che avrebbe ricominciato. Della moglie non parlava—Sofia non sapeva nemmeno se fosse ancora viva. Ogni mattina pregava perché il figlio mantenesse la promessa e andasse a trovarla.

Il giorno volgeva al termine, ma nessuno si era ancora fatto vivo al cancello. Le anziane bisbigliavano: “Forse è successo qualcosa? Non possono essersene dimenticati?” La speranza si scioglieva come la neve sotto i rari raggi del sole invernale.

Quando fu ora di coricarsi, l’infermiera di turno entrò nella camera di Anna e Sofia:
“Sofia Maria, tuo figlio Matteo ha un tatuaggio di un’ancora sul braccio?”

“Sì!” esclamò Sofia, alzandosi dal letto nonostante il dolore alle gambe.

“È vivo, non ti preoccupare. Dorme nella portineria, vicino alla caldaia. I vestiti sono strappati, la barba lunga. Voleva venire da te, ma si vergognava a farsi vedere così.”

“Olga, tesoro, prendi questi soldi, daglieli da mangiare, compragli qualcosa da mettere,” pianse Sofia, porgendo all’infermiera banconote stropicciate.

“Non servono,” sorrise l’infermiera. “È sazio, al caldo, si è lavato. Dorme profondamente. Domani mattina aspettalo.”

Sofia, asciugandosi le lacrime, ringraziò l’infermiera, che fece un gesto con la mano e uscì. Anna era sdraiata, fissando il soffitto. Luca non era venuto. La promessa di suo figlio si era rivelata vuota. Il cuore le si stringeva di tristezza, ma restò in silenzio, non volendo turbare l’amica, la cui gioia in quel momento sembrava l’unica luce nella loro fredda stanza.

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