**Le Ferite del Tradimento**
Lucia stava finendo di lavare i piatti quando il telefono squarciò il silenzio della cucina in un paesino vicino a Verona. Asciugandosi le mani con un canovaccio, rispose.
— Lucia, ciao tesoro! — esordì la voce melensa di zia Nina.
— Buonasera, — rispose lei, con tono controllato.
— Lucetta, mio figlio si trasferisce a Verona e ha bisogno di un posto dove stare. Potresti ospitarlo? — cantilenò la zia con dolcezza.
— No! Non ho spazio! Arrangiatevi! — tagliò corto Lucia, sentendo il sangue salirle alle guance.
— Ma come… Siamo famiglia, — borbottò Nina, disorientata.
— Dopo quello che avete fatto, per me non esistete! — replicò Lucia senza esitazione.
— Di cosa parli? Cosa avrei fatto? — nella voce della zia traspariva il panico.
— Lucia, non mi dirai di no, vero? — Nina sembrava quasi fare un favore, anziché chiedere aiuto.
Lucia era in piedi vicino alla finestra, stringendo i pugni. Conversazioni così si ripetevano troppo spesso. Ancora una volta, avrebbe dovuto sacrificare i suoi piani per la “famiglia”.
— Cos’è successo? — chiese, già intuendo la risposta.
— Tua cuginetta ha bisogno di ripetizioni di matematica! — si mise a ciarlare Nina. — Gli esami sono alle porte e l’insegnante è severo, boccia tutti. Tu sei brava, potresti darle una mano, no?
Lucia digrignò i denti. Aveva già aiutato gratis quattro tra nipoti e cugini. Ma dire di no? Impossibile, così era stata cresciuta.
— Va bene, — sospirò, odiando la propria debolezza.
Nella loro famiglia, aiutare i parenti era sacro. I genitori di Lucia gliel’avevano insegnato fin da piccola: la famiglia è tutto, non si abbandonano i propri cari. Non badavano a spese di tempo o denaro. Se un parente aveva bisogno, loro c’erano.
— Un giorno anche noi avremo bisogno, — ripeteva sempre la madre.
Lucia ci credeva.
I suoi genitori non erano ricchi, ma gestivano una piccola bottega. Vivevano con poco, ma dignitosamente. Bastava però per diventare i “benefattori” di tutta la parentela. Qualcuno veniva a Verona e alloggiava da loro, risparmiando sull’albergo. Altri chiedevano prestiti, promettendo di restituirli, ma i soldi svanivano nel nulla. Se serviva un lavoro, si rivolgevano al padre.
Lucia non era da meno. Dopo l’università, divenne la ripetizioni gratuita per nipoti, cugini e parenti alla lontana. Passò anni a sacrificare le sue serate per i loro figli, convinta che, quando sarebbe stato il loro momento di bisogno, la famiglia avrebbe ricambiato.
Quella fiducia si infranse in mille pezzi.
— Ne siete sicuri? — la voce di Lucia tremava, le dita affondavano nel bordo del tavolo.
Il medico la guardò con compassione, abituato a dare notizie del genere.
— Abbiamo controllato più volte, — disse piano. — Bisogna iniziare le cure subito.
Lucia annuì, sentendo il terreno mancarle sotto i piedi. L’unica consolazione era pensare che non erano soli.
A casa, un silenzio tombale. Il padre fisso nel vuoto, la madre che girava per la stanza stringendo il telefono, ma senza il coraggio di chiamare. Lucia li osservava e capiva: non potevano arrendersi.
— Ce la faremo, — disse, rompendo il silenzio. — Siamo in tanti. Resisteremo.
Il padre sospirò pesantemente.
— E i soldi? Costano troppo…
— Li troveremo, — tagliò corto la madre.
Iniziarono a vendere tutto: l’appartamento di Lucia, l’auto, i gioielli, perfino i mobili. I genitori svuotarono i risparmi del negozio. Ma non bastava. Allora fecero quello che sembrava naturale: chiesero aiuto alla famiglia che avevano sempre sostenuto.
— Parenti, abbiamo un problema, — tremava la voce della madre. — Ci serve una mano. Qualsiasi cifra, quel che potete.
In risposta, silenzio. Poi scuse evasive.
— Forza, — buttò lì una zia. — Noi vi saremmo vicini, ma abbiamo le nostre difficoltà…
— Che peccato, — fece eco uno zio. — Stiamo ristrutturando, siamo pieni di debiti…
— Darei volentieri, ma i soldi sono vincolati, — annunciò fredda una cugina.
Lucia ascoltava incredula. Quelli che per anni avevano preso soldi, sfruttato la loro ospitalità, i loro contatti, ora non trovavano neppure mille euro.
Rispose solo un parente lontano. Inviò una modesta somma, scusandosi di non poter fare di più. Lucia sapeva che per lui era tanto, e gli fu grata.
— Grazie, — disse, trattenendo le lacrime.
Poi spense il telefono e serrò i pugni. Ce l’avrebbero fatta. Anche se nessuno credeva in loro.
Dovettero chiedere un mutuo, ipotecando la casa dei genitori.
— Lo stiamo facendo davvero? — la voce di Lucia tremava, le mani tra i capelli.
— Non abbiamo scelta, — rispose stanca la madre.
Erano in cucina, circondati da pile di bollette e calcoli. Fuori era buio, ma nessuno accese la luce — risparmiavano.
— Se non paghiamo, perdiamo tutto, — sussurrò Lucia.
— Se ci fermiamo, perdiamo tuo padre, — replicò la madre.
I soldi arrivarono in fretta, e altrettanto in fretta svanirono. Ogni centesimo andava alle cure, ogni trattamento era una speranza. Lucia smise di contare i viaggi in ospedale, le analisi, le ricette.
Le condizioni del padre migliorarono. Era l’unica cosa che contava.
— Ci sono progressi, — disse il medico, togliendosi gli occhiali. — Ma non abbassate la guardia. La strada è lunga.
La madre tirò un respiro, Lucia annuì. Erano pronte.
Lavorarono senza sosta. La madre tenne in piedi il negozio, fece la contabile per tre aziende, correndo da un appuntamento all’altro. Lucia accettò qualsiasi lavoretto: lavoro di giorno, ripetizioni la sera, traduzioni di notte.
— Quando dormi? — chiese la madre, trovandola in cucina alle cinque del mattino.
— Non ricordo, — rise rauca Lucia, preparando il caffè.
Si scambiarono un’occhiata e sorrisero. Dura, ma non si sarebbero arrese.
Due anni di lotta. Due anni di fatica, insonnia, nervi tesi, numeri e sacrifici. Ma il padre riprese a camminare, tornò al lavoro, ridivenne sé stesso.
Una sera, seduto a tavola, guardò moglie e figlia e disse piano:
— Grazie.
Lucia gli strinse la mano senza parole.
Fu allora che i parenti riapparvero.
— Lucia, ciao, tesoro! — cinguettò zia Nina. — Siete spariti, neanche una chiamata! Come sta tuo padre? Tutto bene?
Lucia si aggrappò al bracciolo, incredula. La zia parlava come se quegli anni di disperazione e fatica non fossero mai esistiti.
— Sì, tutto a posto, — rispose gelida.
— Meno male! — esultò Nina. — Pensavamo fossi arrabbiata con noi. Ma in famiglia si perdona, no?
A Lucia si seccò la gola.
— Volevi qualcosa? — chiese,— Sì, mio figlio viene a Verona e avrebbe bisogno di un posto dove stare per un po’… — continuò Nina, come se niente fosse.