Valentina stringeva tra le mani i risultati delle analisi. La carta era umida di sudore. Il corridoio del consultorio era affollato, quasi impossibile passare.
— Valentina Morvillo! — chiamò l’infermiera.
Valentina si alzò ed entrò nello studio. La dottoressa, una donna robusta con occhi stanchi, prese la cartella e scorse rapidamente i fogli.
— Si sieda. — Lo sguardo era distaccato. — Tutto nella norma. Faccia controllare suo marito.
Valentina si irrigidì. Marcello? Ma lui…
A casa, la suocera tagliava la verdura per la minestra. Il coltello sferzava con furia, come se dovesse tritare nemici.
— Allora, figliola, che novità? — chiese Valeria senza alzare gli occhi.
— Io sto bene — mormorò Valentina, togliendosi il cappotto.
— E allora perché… — La suocera sollevò lo sguardo, e una fiamma di preoccupazione le attraversò gli occhi.
— Marcello deve fare dei controlli.
Il coltello si fermò. Valeria si raddrizzò, rigida come una spranga.
— Che sciocchezze! Mio figlio è sano come un pesce! Sono i vostri dottori che non capiscono nulla. Una volta le donne figliavano senza tutti questi esami!
Valentina entrò in camera. Calzini sparsi sul divano, uno blu, l’altro nero. Li raccolse meccanicamente e li gettò nel cesto della biancheria.
Dopo tre anni di matrimonio, quei calzini erano diventati il simbolo della loro vita: scompagnati, senza armonia.
Marcello tornò tardi quella sera.
— Perché quella faccia da funerale? — brontolò, lasciandosi cadere sulla poltrona.
— Marcè, dobbiamo parlare.
— Di cosa?
Gli porse i fogli. Lui li scorse e li respinse con un gesto secco.
— E allora?
— Devi farti vedere da uno specialista.
— Perché mai? — Si alzò di scatto. — Sono un uomo sano, guardami!
Aveva davvero l’aspetto di chi sta bene: spalle larghe, capelli folti e scuri. Ma la salute non sempre si vede a occhio nudo.
— Marcè, ti prego…
— Basta! — urlò. — Se non vuoi figli, dillo chiaro! A che servono queste commedie con i medici?
Dalla cucina arrivò il rumore di pantofole striscianti. Valeria era dietro la porta, ma respirava così forte che ogni sospiro si sentiva.
— Desidero un bambino più di ogni altra cosa — sussurrò Valentina.
— E allora perché non arriva? Forse nascondi qualcosa? Hai fatto interventi e ora non puoi più?
La ferita bruciò. Valentina indietreggiò.
— Come osi…
— E come dovrei fare? Tre anni insieme e niente! E ora questi dottori dicono che io… — Serrò i pugni.
La porta si spalancò. Valeria irruppe nella stanza come un carro armato.
— Marcello, non darle retta! È tutta colpa della noia. Se lavorasse di più, smetterebbe di girare per ospedali.
Valentina fissò il marito. Lui si voltò verso la finestra.
— Marcello, davvero credi che io…
— Non so cosa pensare — sibilò tra i denti. — So solo che un uomo sano non va dai dottori.
Valeria annuì trionfante.
— Giusto, figlio mio. Non è da uomini andare in giro per ambulatori.
Valentina sentì qualcosa spezzarsi dentro, come una corda tesa all’estremo.
— Va bene — disse con voce ferma.
Il giorno dopo iniziò la guerra. Valeria la criticava per ogni cosa: il sale sparso, la pentola male lavata, la polvere sulla credenza. Valentina stringeva i denti e taceva.
— Forse non dovresti nemmeno stare in casa — commentò la suocera a cena. — Magari trovarti un lavoro vero invece di perdere tempo dai medici.
Marcello masticava la cotoletta senza alzare lo sguardo.
— Io lavoro — ricordò Valentina.
— Tre giorni alla settimana non sono un lavoro, è un passatempo!
— C’entra qualcosa con la nostra situazione?
— Certo! Mio figlio è sano, e tu vuoi farlo passare per malato! Se non arrivano figli, la colpa è della donna! È sempre stato così!
Valentina si alzò. Le gambe cedevano.
— Che ti prende? — sbottò Valeria. — Hai finito di mangiare e scappi via?
— Sono stanca — mormorò.
— Stanca?! E di cosa? Tre giorni di lavoro, non è mica una fatica tremenda!
Marcello finalmente la guardò. Nei suoi occhi balenò qualcosa simile a pietà. Ma tacque.
Di notte, Valentina ascoltava il russare di Marcello. Un tempo quel suono la rassicurava: significava che la persona amata era accanto. Ora la irritava. Come aveva fatto a non vedere quanto fosse testardo?
All’alba riempì una borsa da ginnastica con qualche vestito, biancheria e il necessario.
— Dove vai? — Valeria era sulla soglia della cucina con una tazza in mano.
— Dalla nonna.
— Per molto?
— Non lo so.
Marcello uscì dal bagno e vide la borsa.
— Vale, che succede?
— Quello che vedi.
— Lo fai sul serio?
— E come dovrei fare? Tu non vuoi farti controllare, tua madre mi considera colpeVarcò la soglia con il cuore in pezzi, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta in quella casa.