È più forte della morte
Valentina aprì gli occhi. L’orologio sul muro segnava le sette e mezzo di mattina. Accanto c’era la foto del marito con un nastro nero nell’angolo. Così iniziava ogni sua giornata. Guardava l’orologio e poi subito il sorriso di lui. O viceversa. “Ciao. Buongiorno, amore mio!” Così diceva lui ogni mattina. Solo che non poteva più baciarla come prima.
***
Dopo nove giorni, prima di partire, la figlia tolse il nastro nero dalla cornice. Al risveglio, Valentina vide la foto senza il nastro e pensò che la morte del marito fosse solo un incubo.
Entrò in cucina, dove la figlia stava preparando i pancakes.
“Papà è già uscito per lavoro?” chiese.
La figlia si voltò di scatto, confusa.
“Mamma, mi spaventi. Prima di tutto, oggi è sabato, e poi… Ieri abbiamo seppellito papà. Non ti ricordi?”
Valentina cadde pesantemente sulla sedia.
“Hai tolto il nastro dalla foto? Ho pensato che…”
E scoppiò in lacrime. Il dolore tornò a schiacciarle il petto come una lastra di pietra, togliendole il respiro. La figlia si avvicinò, si accovacciò davanti a lei e le cercò lo sguardo.
“Mamma, scusami. Rimetto subito il nastro. Non ci ho pensato…”
Quando Valentina rientrò in camera, il nastro era di nuovo al suo posto. Ma non la sollevò affatto, anzi, peggiorò tutto. Meglio il sogno e l’inganno, piuttosto che la terribile realtà. Ma non lo disse ad alta voce.
“Perché non vieni da me per un po’? Ti distrarresti,” propose la figlia.
“Non preoccuparti, sto bene. Non sono impazzita. È solo che vedere la foto senza il nastro… Ho desiderato così tanto che fosse solo un brutto sogno. Resterò qui. Con papà,” avrebbe voluto aggiungere, ma temeva di spaventarla del tutto.
“Non volevo insinuare niente, era solo un’idea.”
“Ci hai pensato,” rispose Valentina.
“Non arrabbiarti, mamma.”
La figlia partì, promettendo di chiamare ogni giorno. Si era sposata con un compagno di università e si era trasferita dai suoceri in un’altra città. Le piaceva là.
***
Passarono otto mesi, ma il dolore non si attenuò. Valentina imparò a conviverci. Entrò in bagno e aprì il rubinetto. Una lampadina sul soffitto tremolò e si spense. “Meglio così,” pensò, sciacquandosi il viso. “Con questa luce fioca, il mio riflesso allo specchio è meno spaventoso.”
Gli alberi e gli arbusti del cortile erano avvolti da una foschia verdognola per le gemme gonfie. Qualche fogliolina già spuntava sul lato soleggiato. Il cielo era coperto di nuvole.
Valentina si allontanò dalla finestra, mise la tazza del caffè vuota nel lavandino e andò a vestirsi. Nel weekend andava spesso al cimitero, soprattutto da quando la neve si era sciolta e la terra era asciutta. Oggi erano esattamente otto mesi dalla morte del marito. Otto mesi che per lei si erano fusi in un unico, interminabile giorno di dolore.
All’ingresso del cimitero, alcune donne vendevano fiori freschi e artificiali. Valentina scelse quelli veri. In otto mesi, la tomba del marito si era persa tra le nuove sepolture. Tolse i fiori appassiti, ne mise di freschi, sistemò i nastri sulle corone, accarezzò la foto del marito. Il sole l’aveva sbiadita, il suo volto svaniva. La prossima volta avrebbe portato una foto nuova, da incorniciare sotto vetro. In estate sarebbe arrivata la figlia con il genero, avrebbero messo la lapide…
Il prete al funerale aveva detto che per Dio tutti sono vivi. Quelle parole le erano rimaste attaccate come una speranza. Forse per questo il cimitero la attirava. Le sembrava di sentire la presenza del marito più forte lì. Non nella bara, sottoterra, ma da qualche parte lassù. Dopotutto, si dice che l’anima torni al cielo, al Regno dei Cieli…
“Ciao. Hai nuova compagnia intorno. Anche io sono circondata da tante persone, ma senza di te mi sento lo stesso sola. La figlia chiama ogni giorno. Sta bene. Ricordi quando cercavi di dissuaderla dal matrimonio? Lei e Tommaso sono felici, si amano.”
“Sai, credeva di essere incinta, ma il test ha dato esito negativo. Si è dispiaciuta, ma anche sollevata. Per ora non vuole figli. Ha promesso che, se nascerà un maschio, lo chiamerà come te. Non ti dispiace?”
“Mi manchi tanto. Mi cade tutto dalle mani. Ho rotto così tanti piatti. Anche la tua tazza, scusami. Volevo metterla via. Perché l’ho presa in mano? Ieri ho rovesciato il tè. Al supermercato dimentico sempre qualcosa nel carrello. L’altra volta ho lasciato i cetrioli freschi. La figlia dice che sfamo tutto il quartiere. Al lavoro non va meglio. Faccio errori, potrebbero licenziarmi. Le lampadine in bagno si sono fulminate. Avevi comprato delle riserve? Non le trovo.”
Qualche goccia le cadde sulla testa.
“Comincia a piovere. Ti ho raccontato tutto. Tornerò presto. A presto, amore mio.” Accarezzò di nuovo la foto, asciugò le lacrime e si allontanò, evitando le tombe più recenti.
Dovette aspettare a lungo l’autobus, si bagnò e si gelò. Tornare a casa vuota non la entusiasmava.
Davanti al portone c’era un furgone con le porte spalancate. Gli addetti scaricavano scatoloni, mobili e sacchi, portandoli all’ascensore. Una vicina era in piedi sul marciapiede stretto, lamentandosi che non si poteva passare. Gli uomini, silenziosi, continuavano a trasportare scatole.
“Buongiorno. Sa per caso in quale appartamento si stanno trasferendo i nuovi vicini?” chiese Valentina.
“Ciao, Valentina. Non so il numero, ma è al sesto piano. I Morelli hanno venduto l’appartamento d’inverno, hanno comprato una casa. Tu stai al settimo, no? Quindi saranno sotto di te. Va bene, io vado al supermercato, la nipotina è da sola…” Si scansarono a fatica tra le scatole.
Valentina salì con l’ascensore, aprì la porta. Ad accoglierla, un silenzio opprimente. Si spogliò, entrò in cucina e mise il piede in una pozzanghera.
“Ma che mancava!”
Aprì l’armadietto sotto il lavandino e vide che l’acqua gocciolava dalla valvola del rubinetto freddo. Provò a stringerla, ma peggiorò la situazione. Sabato. Se avesse chiamato l’idraulico, avrebbe chiuso l’acqua a tutto il palazzo per due giorni. Mise un secchio, asciugò il pavimento e andò dai vicini di sotto. La porta era socchiusa.
“È permesso? Sto allagando la vostra casa!” gridò verso l’interno.
Un uomo sulla quarantina si affacciò. Valentina indietreggiò, sorpresa.
“Buongiorno. Sono la vicina del piano di sopra. Ho una perdita in cucina, può controllare se è arrivata da voi?”
“Subito, entri.” Valentina lo seguì in cucina. Sul soffitto si allargava una macchia bagnata.
“Mi dispiace, pagheròLa vita aveva ancora da offrirle un nuovo inizio, e Valentina sorrise tra le lacrime, pronta ad accogliere la luce che finalmente bussava alla sua porta.