Non temere, non ti lascerò mai

“Non ti lascerò mai, non temere”

Serafina indossò per la prima volta un vestito estivo sgargiante, si tinse leggermente le labbra sottili e si osservò con occhio critico nello specchio. “Forse dovrei tingermi i capelli?” Sospirò e uscì di casa.

Fuori, era il primo giorno davvero caldo dell’estate. Il sole splendente, l’erba rigogliosa, nuvole bianche come batuffoli di cotone veleggiavano nel cielo azzurro. Finalmente, dopo che per tutto maggio e metà giugno era stato freddo, con vento e pioggia.

Serafina passeggiava spesso nel piccolo parco di fronte a casa, quando non era occupata con le commissioni. Non era nemmeno un vero parco, più che altro un’area con aiuole ben curate, attraversate da vialetti lastricati e panchine. Camminava lungo i sentieri e si fermava a riposare su una delle panchine intorno al monumento a Dante Alighieri davanti all’università. Erano comode, con lo schienale, a differenza delle solite panchine.

Si sedette, lasciando che il sole filtrato dalle foglie degli alberi le accarezzasse il viso. Una bambina di quattro anni, con buffe trecce bionde, inseguiva i piccioni ridendo. Sua madre era seduta su una panchina vicina, fissando il telefono.

Sulla panchina di fronte a Serafina si sedette un uomo con pantaloni chiari e un maglione blu, anch’egli osservando la bambina. Alla fine, la madre riposte il telefono in borsa e portò via la figlia. Senza più nulla da guardare, Serafina incrociò lo sguardo dell’uomo. Questi si alzò e le si avvicinò.

“Posso?” chiese, sedendosi a poca distanza. “La vedo spesso. Abita qui vicino?”

“Si attacca. Vecchio, eppure ci prova,” pensò Serafina, senza rispondere.
L’uomo non si scoraggiò e rimase al suo posto.

“Io abito in quel palazzo laggiù. La vedevo dal balcone. Ho studiato e lavorato all’università, e ho passato tutta la vita qui accanto.”

“Era un professore?” chiese Serafina.
Che maledetta curiosità.

“Un tempo. Sono in pensione da anni.”
Serafina annuì, senza aggiungere altro.

“Finalmente il bel tempo. È vedova? La vedo sempre da sola.”

“Eccolo, si è attaccato. Sicuramente ci prova,” decise Serafina.

Ma era stanca della solitudine e del silenzio. Non poteva certo parlare coi mobili.

“Ora sì, sono vedova. Mio marito e io ci siamo separati. Tanto tempo fa. Poi lui è morto.” Per qualche motivo, si lasciò andare.

“Anche mia moglie è morta, due anni fa.” L’uomo alzò gli occhi al cielo, come se cercasse di vederla lassù.

La conversazione scivolò dolcemente su figli e nipoti. Serafina scoprì che il figlio di Giovanni viveva all’estero, mentre la figlia, con la sua famiglia, a Roma. Quando sua moglie era viva, si riunivano spesso intorno a un tavolo grande. La casa si riempiva di voci e risate. Rimasto solo, aveva rifiutato di trasferirsi dai figli, per non essere di peso.

“È così curato, pensavo vivesse con uno di loro,” fece un complimento Serafina.

“Faccio tutto da solo. Non è difficile, basta volerlo.”

“Devo andare. Sta per iniziare una serie tv.” Serafina si alzò, pronta a partire.

In realtà non guardava serie tv, ma era semplicemente ora di tornare a casa. E aveva paura che il nuovo conoscente fosse un appassionato e iniziasse a tempestarla di domande. Ma anche lui si alzò e disse di amare leggere libri.

“Anch’io,” si animò Serafina. “Anche se ultimamente la vista mi tradisce, riesco a leggere solo quelli con caratteri grandi.”

“Oh, ne ho molti. Vuole che glieli porti la prossima volta? Ho una biblioteca vasta. Se mi permette, sceglierò secondo il mio gusto.” Serafina scrollò le spalle e si congedò.

“Ma guarda che si è montato la testa. La prossima volta…” pensò mentre tornava a casa.

Ma per tutta la sera ripensò al nuovo conoscente. Il giorno dopo si vestì con cura e tornò al parco. Lui l’aspettava già sulla panchina, con un libro in una busta. Appena la vide, si alzò e la salutò con gioia. Il cuore di Serafina accelerò, e un sorriso soddisfatto illuminò il suo viso.

Ogni giorno aspettava con impazienza quegli incontri, vestendosi con cura e tingendosi le labbra. Un giorno, realizzarono che il tempo che gli restava era poco, e decisero di non separarsi più. Serafina andò a vivere da Giovanni. La sua casa era grande, molto più spaziosa della sua.

Da allora, furono sempre visti insieme. Passeggiavano in ogni stagione, facevano la spesa, andavano a teatro, leggevano libri la sera. All’inizio, Serafina temeva i pettegolezzi dei vicini. “È impazzita, a quest’età si è messa a fare la serva per un uomo vecchio.”

Ma Giovanni sapeva fare tutto in casa, perfino cucinare decentemente. Facevano tutto insieme. Dopo qualche anno, Serafina non riusciva più a immaginare la sua vita senza di lui. Non avrebbe mai creduto di trovare pace e felicità sulla soglia della vecchiaia.

“Simona, dovremmo metterci in regola. Viviamo come due peccatori,” disse un giorno Giovanni.

“Che idee! Viviamo e basta. Vuoi far ridere la gente? E se i figli fossero contrari?” rise Serafina.

“I figli… Tua figlia ti ha mai chiesto come vivere? E io non ho chiesto il permesso a nessuno. Non lo chiederemo neanche ora.”

“Hai ragione, ma comunque…” esitò Serafina.

Il tempo passava. Ogni tanto Giovanni riprendeva il discorso del matrimonio, ma lei temporeggiava, senza mai dire di sì.

“Il tempo ci scivola tra le dita, le articolazioni scricchiolano, e noi ci sposiamo? Ridicolo,” rideva Serafina.

Un giorno, la figlia la chiamò e iniziò il discorso con circospezione.

“Mamma, vivi ancora con quel tuo Giovanni? Non pensi di tornare a casa tua? Sergio e mio marito non vanno d’accordo. Potrebbe vivere nel tuo appartamento per un po’? Ha una ragazza. Molto carina. Tu che dici?”

Teresa, la figlia di Serafina, aveva divorziato dal marito, padre di Sergio, quando il ragazzo aveva otto anni. Ora studiava al secondo anno dell’università. L’anno prima, Teresa si era risposata, ma Sergio non andava d’accordo col nuovo marito.

“Certo, che ci viva. Perché lasciare la casa vuota? Ma non pensa a sposarsi?”

“Mamma, certo, un giorno. Ma oggi tutti convivono prima. Allora, può trasferirsi domani?”

Serafina acconsentì. Come avrebbe potuto rifiutare? Era suo nipote, dopotutto. Doveva forse affittare un’altra casa? I soldi non erano infiniti.

Passò un altro anno. Un giorno, mentre pulivano casa, Serafina spolverava e Giovanni passava l’aspirapolvere. All’improvviso, lui si chinò per spegnerlo e crollò a terra. Gemette, incapace di rialzarsi. Il medico dell’ambulanza diagnosticò un ictus.

In ospedale, Giovanni la fissò con occhi pieni di paura.

“Non ti lascerò, non temere. Starò qui, ti aiuterò. Ti dimetteranno presto. Ce la faremo,” loPassarono altri anni, Serafina morì sola nella sua vecchia casa, stringendo ancora quel libro che Giovanni le aveva regalato quella prima volta al parco, e nella bara volle solo una foto di lui accanto a sé, perché l’amore vero non conosce fine.

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