Suo padre l’ha promettuta a un mendicante perché era nata cieca – ma ciò che è accaduto dopo ha sorpreso tutti.

Il padre lo aveva promesso a un mendicante perché la bambina era nata cieca — ma quello che successe è capitato dopo ha lasciato tutti a bocca aperta.

Lavinia non aveva mai messo gli occhi sul mondo, ma ne sentiva il peso ad ogni respiro. Nata cieca in una famiglia che, in silenzio, dava più valore all’apparenza che alla sostanza, si sentiva spesso come un pezzo di puzzle fuori posto. Le due sorelle, Alessandra e Bianca, erano celebrate per la loro bellezza radiosa e la grazia impeccabile. Gli ospiti si fermavano a guardare il luccichio dei loro occhi e la loro postura elegante, mentre Lavinia rimaneva nell’ombra, quasi invisibile.

La madre era l’unica a darle calore. Quando morì, lasciandola con cinque anni, la casa cambiò repentina. Il padre, un tempo dolce e paroleggiato, divenne freddo e chiuso. Non la chiamò più per nome, ma la indicava con un tono vago, come se ammettere la sua esistenza fosse già di troppo.

Lavinia non condivideva i pasti di famiglia. Si rifugiava in una piccola stanza sul retro, dove imparò a orientarsi con il tatto e il suono. I libri in braille divennero la sua fuga. Passava ore a sfiorare quei rilievi che narravano storie ben oltre il suo piccolo universo. La sua immaginazione divenne la compagna più fedele.

Il giorno del suo ventunesimo compleanno, invece di una festa, il padre entrò nella sua stanza con una striscia di stoffa piegata in mano e, con voce asciutta, annunciò: “Domani ti sposo.”

Lavinia si fermò. “Con chi?” chiese piano.

“È un uomo che dorme davanti alla cappella di San Giovanni, nel villaggio,” rispose il padre. “Sei cieca. È povero. È un regalo.”

Non ebbe voce in capitolo. Il mattino dopo, durante una cerimonia improvvisata e senza emozioni, Lavinia fu sposata. Nessuno le descrisse lo sposo. Il padre la spinse semplicemente in avanti, dicendo: “È tua ora.”

Il nuovo marito, Marco, la guidò verso una modesta carrozza. Viaggiarono in silenzio per un lungo tratto, fino a raggiungere una piccola baita vicino al fiume Arno, lontano dal trambusto del villaggio.

“Non è molto,” disse Marco mentre la aiutava a scendere. “Ma è sicuro, e qui sarai sempre trattata con rispetto.”

La baita, di legno e pietra, era semplice ma più accogliente di qualsiasi stanza Lavinia avesse conosciuto. Quella prima notte Marco le preparò del tè, le porse una coperta e si accoccolò vicino alla porta. Non alzò mai la voce né la biasimò. Si sedette e chiese: “Quali storie ti piacciono?”

Lavinia rimase sorpresa; nessuno le aveva mai posto quella domanda. “Quali cibi ti fanno felice? Quali suoni ti strapazzano il cuore?”

Giorno dopo giorno, la vita cominciò a rinascere dentro di lei. Ogni mattina Marco la portava sul bordo del fiume, descrivendo l’alba con parole poetiche. “Il cielo sembra arrossire, come se avesse appena ricevuto un segreto,” disse una volta.

Dipingeva per lei il canto degli uccelli, il fruscio degli alberi, il profumo dei fiori selvatici che spuntavano intorno. E soprattutto, la ascoltava. Veramente ascoltava. In quella casetta, al centro della semplicità, Lavinia scoprì un sentimento mai provato prima: la gioia.

Ricominciò a ridere. Il suo cuore, un tempo chiuso a chiave, si apriva piano piano. Marco canticchiava le sue melodie preferite, le raccontava storie di terre lontane, o rimaneva silenzioso, tenendo la sua mano.

Un pomeriggio, seduta sotto un vecchio olmo, Lavinia domandò: “Marco, sei stato davvero un mendicante?”

Marco rimase in silenzio un attimo, poi rispose: “No. Ho scelto quella vita per una ragione.”

Non disse altro e Lavinia non insistette, ma la curiosità cominciò a germogliare.

Qualche settimana dopo, si avventurò da sola al mercato del paese. Marco l’aveva accompagnata passo passo, con pazienza. Mentre il vociare, una voce la colse: “La ragazza cieca, sempre a fare la casalinga con quel mendicante?” Era Bianca, la sorella.

Lavinia si raddrizzò. “Sono felice,” rispose.

Bianca rise a vanvera. “Non è neanche mendicante. Non capisci nulla, vero?”

Rientrata a casa, turbata, aspettò Marco. Appena entrò, gli chiese con tono calmo ma fermo: “Chi sei davvero?”

Marco si inginocchiò, prese le sue mani fra le sue. “Non volevo che lo scoprissi così. Ma meriti la verità.”

Fece un respiro profondo. “Sono il figlio di un governatore della provincia.”

Lavinia rimase senza parole. “Cosa?”

“Ho lasciato quel mondo perché mi stancavo che mi guardassero solo per il titolo. Volevo che mi amassero per quello che sono. Quando sentii parlare di una ragazza cieca rifiutata da tutti, capii che dovevo incontrarti. Sono venuto sotto mentite spoglie, sperando che nessuno avesse il peso della ricchezza.”

Lavinia rimase in silenzio, rievocando ogni gesto di gentilezza che Marco le aveva offerto. “E ora?” chiese.

“Ora torni con me. A Villa Cavour. Come mia moglie.”

Il giorno seguente una carrozza tirata da cavalli arrivò. I servitori si inchinarono al loro passaggio. Lavinia, stringendo la mano di Marco, sentì un misto di timore e meraviglia.

Nel grande palazzo, parenti e domestici si radunarono, curiosi. La moglie del governatore si avvicinò. Marco annunciò: “Ecco mia sposa. Mi ha visto quando nessun altro vedeva chi ero davvero. È più autentica di chiunque.”

La signora lo osservò, poi la strinse delicatamente. “Benvenuta a casa, figlia mia.”

Nei mesi successivi, Lavinia imparò le usanze della vita aristocratica. Aprì una biblioteca per ipovedenti e invitò artisti e artigiani con disabilità a esporre le loro opere. Divenne un po’ una celebrità, simbolo di forza e benevolenza.

Ma non tutti accolsero il suo arrivo con calore. Si sentiva dire: “È cieca, come può rappresentarci?” Marco sentì le pettegolezze.

Durante una ricevuta ufficiale, si alzò davanti a tutti: “Accetterò il mio ruolo solo se mia moglie sarà pienamente onorata. Se non è accettata, partirò con lei.”

Il silenzio cadde nella sala. Poi la moglie del governatore prese la parola: “Da oggi, Elena (scusa, Lavinia) fa parte di questa casa. Sminuirla significherebbe sminuire la nostra famiglia.”

Un applauso fragoroso riempì la stanza.

Quella notte Lavinia sta sul balcone della loro camera, ascoltando il vento che trasporta la musica nell’estate. Un tempo viveva nel silenzio; ora è una voce che tutti ascoltano.

E anche se non vede le stelle, ne sente la luce nel cuore — un cuore che ha trovato il suo posto giusto. Non era più un’ombra, ma una luce.

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