Certo, allora… sai, ci sono momenti nella vita in cui non sai se ridere o piangere. Ieri mi è successa una cosa che ancora adesso mi fa tremare le mani. Avevo deciso di preparare una crostata era tanto che non coccolavo la famiglia con un dolce fatto in casa. Il tempo era bello, ero di buon umore, e la mia nipotina Giulia giocava nella stanza accanto. Tutto era pronto, mancavano solo le uova. Apro il frigo… e niente, sparite. Eppure cerano ancora qualche ora prima. Le avevo messe da parte apposta perché nessuno le prendesse. Ma zero.
Naturalmente, sono andata a chiedere a mia nuora, Carlotta, se le avesse spostate o usate. E lì, è scoppiato il finimondo. Si è infuriata: «Cosa? Non vuoi dare le uova a tua nipote? Stamattina ha mangiato una frittata!» Io sono rimasta di sasso, senza parole. Mi si è stretto il cuore. Le ho risposto: «Ma sei proprio stupida» Sì, non ho trattenuto la lingua. La parola è pesante, ma come reagisci quando ti danno dellavara per due uova che hai comprato tu?
E lei: «Allora mi compro un altro frigo, e ognuno mangerà le sue cose!» Ma dimmi tu: sotto lo stesso tetto, nello stesso appartamento, con due frigoriferi separati? Non è più una famiglia, è una convivenza forzata. E tutto perché? Perché ho osato chiedere dove fossero finite due uova.
Io non sono più giovane, sai? Vivo con la pensione, senza lussi. Questo bilocale a Roma è tutto ciò che ho. Lho avuto dopo tante fatiche, quasi per miracolo. Conto ogni centesimo, vado al mercato per risparmiare, aspetto le offerte. I giovani dicono che «non hanno tempo». Lavorano, sono stanchi, lo capisco. Mio figlio Luca è in ufficio dalla mattina alla sera per tirare avanti la famiglia. Per ora, non cè speranza di una casa separata. Non possono traslocare: gli affitti sono alti, e un mutuo è impensabile. Quindi viviamo in quattro qui: io, Luca, Carlotta e la piccola Giulia. Cerco di non essere dintralcio, anzi, mi piace avere un po di compagnia.
Ma vivere insieme non è solo condividere cucina e bagno. È rispetto. È capire che una persona anziana ha le sue abitudini e, perdona il francesismo, il diritto di fare una crostata. E invece, una lite per due uova. Non è la prima volta: una padella fuori posto, una pentola presa in prestito, ingredienti spariti che volevo usare. Di solito taccio e sopporto. Ma stavolta no. Perché non è questione di uova, di frigo o di dolci.
È questione di rispetto. Di quel dolore di aver passato la vita a badare agli altri, a dare, nutrire, crescere, e poi sentirsi dire che sei «tirchia». Eppure, sono io che li ho accolti, senza mandarli via. Ho condiviso la casa, messo tutto in comune, e viviamo come possiamo. E ora mi suggeriscono di mangiare da sola, di tenermi in disparte.
Lo so, siamo di generazioni diverse. Loro hanno le loro idee, io le mie. Ma una famiglia non è questione di frigoriferi. Né di chi ha mangiato cosa. È rispetto, attenzione e gratitudine. Non chiedo inchini. Ma sentirsi dare della tirchia… fa male. Tantissimo.
Ora penso: non mi impiccerò più. Se finiscono tutto, pazienza. Se non resta niente, mi farò un piatto di pasta. Mangiare insieme? Che mangino da soli. Ma sappiano una cosa: non perché sono offesa o taccagna. Ma perché è stata una loro scelta. Loro lhanno voluto. E io… me lo ricorderò. E ne trarrò le mie conclusioni.
La vita insegna che il rispetto si perde più in fretta di quanto si conquisti, ma che una famiglia non si divide per delle uova né per nientaltro.