Quella notte, ho cacciato mio figlio e mia nuora di casa e ho preso le loro chiavi: era arrivato il momento di dire — basta

Quella notte, ho cacciato mio figlio e mia nuora di casa e gli ho preso le chiavi: era arrivato il momento in cui ho capito basta.

È passata una settimana, e ancora non credo a quello che ho fatto. Ho mandato via mio figlio e sua moglie dalla mia casa. E sapete una cosa? Non provo neanche un briciolo di rimorso. Perché era il limite. Sono stati loro a costringermi a questa decisione.

Tutto è iniziato sei mesi fa. Tornata a casa dal lavoro, come sempre. Stanca, volevo solo un tè e un po di silenzio. E cosa trovo? In cucina ci sono mio figlio, Luca, e sua moglie, Alessia. Lei taglia il formaggio, lui è seduto al tavolo a leggere il giornale, come se niente fosse, e mi dice con un sorriso:

Ciao, mamma! Abbiamo deciso di venirti a trovare!

A prima vista, niente di male. Sono sempre felice quando Luca viene a trovarmi. Ma poi ho capito: quella non era una visita. Era un trasloco. Senza preavviso, senza chiedere. Sono entrati in casa mia e si sono sistemati.

Ho scoperto che erano stati sfrattati dallappartamento che affittavano non pagavano laffitto da sei mesi. Io gli avevo già detto: non vivete sopra le vostre possibilità! Trovate qualcosa di più modesto, vivete con meno. Ma no. Volevano il centro di Milano, un appartamento ristrutturato, con balcone e vista. E quando tutto è crollato, sono scappati a casa della mamma.

Mamma, restiamo solo una settimana. Te lo giuro, sto già cercando casa insisteva Luca.

Io, da stupida, ci ho creduto. Ho pensato: va bene, una settimana non è la fine del mondo. Siamo famiglia. Devo aiutarli. Se avessi saputo come sarebbe finita

È passata una settimana. Poi unaltra. Poi tre mesi. Nessuno cercava casa. Invece, si erano sistemati come se la casa fosse la loro. Non chiedevano, non aiutavano, non collaboravano. E Alessia Madonna, come mi sbagliavo su di lei.

Non cucinava, non puliva. Passava le giornate con le amiche, e quando stava a casa, era sul divano col telefono. Io tornavo dal lavoro, preparavo la cena, lavavo i piatti, e lei come se fosse unospite in un hotel. Non lavava neanche il suo bicchiere.

Un giorno, ho suggerito, con delicatezza: magari potreste cercare un lavoro extra? Vi aiuterebbe. La risposta è stata immediata:

Noi sappiamo cosa facciamo. Grazie per la preoccupazione.

Io li mantenevo, pagavo lacqua, la luce, il gas. Loro non davano un centesimo. E poi litigavano se qualcosa non era come volevano. Ogni mia parola diventava un dramma.

E poi, una settimana fa. Notte fonda. Sono a letto, sveglia. In salotto, la televisione a tutto volume, Luca e Alessia che ridono, parlano ad alta voce. Io dovevo alzarmi alle sei del mattino. Sono uscita e ho detto:

Ma andate a dormire o no? Io devo svegliarmi presto!

Mamma, non iniziare ha risposto Luca.

Signora Elena, non faccia scenate ha aggiunto Alessia, senza neanche guardarmi.

È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Fate le valigie. Domani non siete più qui.

Cosa?

Avete sentito bene. Uscite. O vi aiuto io a fare i bagagli.

Mentre mi giravo per andarmene, Alessia ha fatto una risatina. È stato il suo errore. Ho preso tre sacchetti e ho iniziato a buttarci dentro le loro cose. Hanno provato a fermarmi, hanno supplicato, ma ormai era tardi.

O uscite ora, o chiamo la polizia.

Mezzora dopo, le valigie erano nel corridoio. Gli ho preso le chiavi. Nessuna lacrima, nessun rimorso. Solo nervosismo e rimproveri. Ma ormai non mi importava più. Ho chiuso la porta. Lho sprangata. E mi sono seduta. Per la prima volta in sei mesi in silenzio.

Dove sono andati? Non lo so. Alessia ha i genitori, le amiche, cè sempre un divano dove dormire. So che non sono finiti in strada.

Non mi pento. Ho fatto quello che dovevo fare. Perché questa è casa mia. Il mio castello. E non lascerò che nessuno lo calpesti con i piedi sporchi. Neanche mio figlio.

A volte, dire no è la più grande prova damore. Perché solo chi rispetta se stesso può veramente rispettare gli altri.

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