INGRATA

*Lucia, abbiamo fame! Basta dormire!* la voce irritata del marito le risuonò nelle orecchie.

La testa le scoppiava, la gola bruciava, il naso era chiuso. Provò ad alzarsi, ma il corpo sembrava di ovatta. Non cera da stupirsi che si fosse ammalata.

Tutta la settimana era stato un caldo torrido, e ieri sera, allimprovviso, era caduta una pioggia mista a nevischio. Primavera Chiamare un taxi era impossibile, con quel tempo. Così aveva dovuto tornare dal lavoro con lautobus. Trenta minuti ad aspettare, e quando finalmente era arrivato, era strapieno. A malapena si era infilata dentro, già era un miracolo. Poi, dalla fermata, altri venti minuti a piedi sotto la pioggia.

Eppure aveva chiesto a Marco di passare a prenderla.
«*Lucetta, io e Matteo siamo andati da mamma. Torneremo tardi*», le aveva risposto.
Come al solito.

Alla fine, Lucia era rientrata a casa a notte fonda, bagnata fradicia e congelata.

Guardò lorologio: le 8 del mattino. Sabato.
«*Marco, per favore, portami il termometro!*», chiese con voce roca.
«*Che cè? Sei malata?*», lui si stupì. «*E il breakfast?*»
«*Potete arrangiarvi?*», sussurrò.
«*Cioè, arrangiarci?*», sbottò lui. «*E Matteo?*»
«*Ha dieci anni, ormai. E tu sei un uomo adulto. Preparatevi delle uova strapazzate? Fallo aiutare dal ragazzo. Glielho insegnato io, è grande.*»
«*Tu hai insegnato a cucinare a mio figlio?!*», esclamò Marco.
«*Sì. Che cè di male? Passa le giornate al telefono. Non ha voglia di fare niente.*», scrollò le spalle.
«*Ma sei impazzita? È un maschio! Un uomo non deve cucinare, né imparare a farlo! È roba da donne!*», urlò lui, rosso di rabbia. «*Basta così! Andiamo da mamma, visto che non hai tempo per noi. Torneremo domani sera.*»

E così, in dieci minuti, padre e figlio erano già fuori dalla porta, diretti dalla madre di Marco.

Lucia si trascinò fuori dal letto, trovò il termometro, mise su lacqua per il tè e si lasciò cadere sulla sedia, i pensieri che le turbinavano in testa.

*Comera possibile? Quando aveva perso quel momento in cui lui avrebbe potuto prendersi cura di lei, cucinare per entrambi, sostenerla quando stava male? Quando tutto era cambiato? Perché, allimprovviso, ogni responsabilità domestica era diventata solo sua?*

Il termometro segnò 39,2.

Prese le medicine e tornò a letto.

Poco dopo, il telefono la svegliò. Era sua madre.
«*Lucia, perché non rispondi? Mi preoccupo quando non mi chiami la mattina.*», disse la voce affettuosa di Vittoria.
«*Mamma, sto poco bene. Ho preso le medicine e sono ripiombata nel sonno.*», sussurrò.
«*Poco bene?! E Marco dovè? Di nuovo da sua madre con Matteo?*», sbuffò.
«*Sono andati via. Per non prendersi il mio raffreddore.*», rispose svogliata.
«*E ci credi? Per non prendersi il raffreddore Piuttosto, per non sporcarsi le mani! Figurati se si mettono a lavare i piatti!*», ribatté la madre, furiosa.
«*Mamma*», provò a protestare Lucia, ma non ebbe tempo. E poi, in fondo, lo sapeva anche lei.
«*Non mamma! Ho tutto il diritto di essere arrabbiata. Ti ho data in sposa, non in schiavitù! Hai misurato la febbre?*»
«*Sì. Era alta stamattina. Adesso va un po meglio. Ma sono senza forze.*»
«*Resta a letto! Tua padre viene a prenderti. Ti sistemerò io! Non è giusto che tu stia male da sola. Aspetta.*»

Lucia si alzò piano, si lavò il viso, preparò una borsa con il necessario e il suo portatile, e quando il padre arrivò, era pronta.

«*Mamma mia!*», si portò una mano al cuore appena la vide.
«*Papà! Che succede?*», si spaventò.
«*Niente! Credevo di vedere un fantasma! Sei pallida come un cencio!*», le prese la borsa. «*Dài, vieni. Tieniti a me, che il vento non ti porti via!*», la guidò allauto con delicatezza. «*Sei magra, distrutta Tua madre ha ragione, sembra che ti abbiano ridotta in schiavitù. Scusa la franchezza, ma sembri uno straccio!*»

Lucia non replicò. Era troppo stanca.

A casa dei genitori, finalmente, si sentì al sicuro. Calda, coccolata, nutrita. Vittoria si prese cura di lei e, già verso sera, Lucia iniziò a stare meglio.

Chiamò Marco per avvertirlo che non sarebbe tornata a casa, ma la risposta fu un sonoro:
«*E che vuoi che io faccia? Non posso portarti le medicine. Ho bevuto un paio di birre con papà. Che cè? È sabato! Stiamo guardando la partita. Ah, mamma vuole parlarti.*»

E così, la suocera, Serena, le diede il suo solito sermone:
«*Lucia, sei una donna! Non puoi permetterti di ammalarti e lasciare i tuoi uomini affamati! Sai cosa conta per una famiglia? Soprattutto per gli uomini? Che siano sazi, al caldo, e che nessuno li disturbi! E tu? Ti ammali Prendi una pillola e basta!*»

Vittoria, passando di lì, strappò il telefono dalla mano della figlia:
«*Cara la mia consuocera! Tuo figlio è forse un invalido? Un malato? Che razza di uomo è, se deve essere sempre coccolato e lasciato in pace?*»
«*Ma che invalido! È un uomo di famiglia! E poi, tutti gli uomini sono così.*», la suocera non si aspettava la reazione.
«*Ah sì? Allora tuo figlio è un buono a nulla. Mia figlia è a letto con la febbre, e lui non è capace neanche di comprarle le medicine perché si è ubriacato? Che esempio di marito!*»

Serena sbuffò:
«*Hanno lasciato casa per non disturbare Lucia. Ma certo, lei si crede una principessa! Medicine, attenzioni Una donna sana che fa la fragile! Ha dimenticato i suoi doveri! Pazienza, mi prenderò io cura dei miei ragazzi. Tua figlia è unegoista!*»

Vittoria fissò il telefono in silenzio, poi si rivolse a Lucia:
«*Figlia mia, ne vale la pena? Sei giovane, hai tutta la vita davanti. Questo è troppo.*»

Poco dopo, arrivò un messaggio da Marco:
*«Lucia, mandami dei soldi. Sono a corto fino allo stipendio. Ho speso tutto per Matteo. Tra laltro, ho dovuto pagare di tasca mia tutti i suoi corsi e comprargli i vestiti!»*

Lucia rimase senza parole.
*«Io ho pagato tutte le bollette e la spesa del mese. È normale?»*

La risposta fu immediata:
*«Certo che è normale! La casa è tua! Dài, mandali, devo fare la spesa!»*

*«Non ho soldi. Li ho spesi per le medicine»*, mentì.

*«Come non hai soldi? Questa tua malattia ci sta cost

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