Mamme in Azione

“Madri”

– Buongiorno, mamme. Come state? – Di primo mattino, nella stanza del reparto di maternità, entrò una graziosa dottoressa ginecologa. Con il camice bianco e il suo cuffietto perfettamente stirato, appariva incredibilmente bella.

Si avvicinò al letto sulla sinistra, dove una giovane madre era sdraiata, voltata verso il muro.

– Rossetti, non fingere di dormire. Girati sulla schiena. Devo controllare la tua pancia – chiese con tono deciso.

Rossetti si mise a malincuore supina. Caterina la riconobbe immediatamente. Avevano partorito insieme quella notte. La dottoressa si chinò, le scostò la coperta, sollevò la camicia da ospedale e le palpò l’addome.

– Tutto bene. Ti porteranno presto tuo figlio per l’allattamento. Sei pronta? – chiese, ricoprendola con la coperta e raddrizzandosi.

La giovane madre spalancò gli occhi, spaventata.

– Non voglio allattarlo – disse con voce disperata.

– E perché mai?

– Per favore, non portatemelo – supplicò Rossetti, guardando la dottoressa con angoscia.

– Che storie sono queste, Rossetti? Non vuoi vedere tuo figlio? Vuoi rinunciare a lui? – intuì la dottoressa.
La ragazza annuì. La dottoressa la osservò con disapprovazione.

– Facciamo così. Finisco il giro, poi parleremo. Hai tempo per riflettere. – Si voltò bruscamente e si avvicinò a Caterina.

– E tu come stai? – si chinò su di lei… – Bene. Secondo parto? Possiamo portarti il bambino per l’allattamento? – domandò.

– Sì, certo – rispose Caterina in fretta.

La dottoressa la fissò un attimo, come se volesse aggiungere qualcosa. Poi guardò Rossetti, ancora rivolta verso il muro, sospirò e uscì.

Quando la porta si chiuse, Caterina si sedette sul letto, lasciando penzolare le gambe.

– Come ti chiami? – Aspettò un momento, ma la vicina non rispose. – Abbiamo partorito insieme stanotte. Tu un po’ prima di me. Scusa, ma perché non vuoi vedere tuo figlio?

La giovane madre restò in silenzio.

– Mio figlio ha già cinque… – Caterina rifletté un attimo, poi chiese improvvisamente:

– Il ragazzo, il padre… ti ha lasciata? Era troppo tardi per abortire? Credi di non poterlo crescere da sola? Dicono che se Dio ti dà un bambino, ti darà anche il modo di mantenerlo. Vedrai. – Caterina parlava alla schiena irrigidita di Rossetti.

– Il tuo bambino, dopo l’ospedale, lo porteranno in un istituto. Non conoscerà mai il tuo odore, il tuo calore. Si prenderanno cura di lui donne estranee. Penserà che una di loro sia sua madre. Guarderà negli occhi ognuna, sperando che sia lei. Ma loro verranno e andranno. Hanno già i loro figli. E lui piangerà, chiamando la mamma.

Poi lo sposteranno in un orfanotrofio. Passerà la vita ad aspettarti e cercarti. Credi davvero di dimenticarlo? Di cancellarlo dalla tua vita? Col tempo, ti pentirai. E se lo adotteranno, chiamerà un’altra donna “mamma”…

– Perché tutti mi tormentate? Non sono affari vostri. Non sapete niente di me! – Rossetti parlò a denti stretti, la voce tremante per il pianto.

– È vero, non so – ammise Caterina. – Ma non si rinuncia così a un figlio, soprattutto dopo aver affrontato il parto, il dolore, aver sentito il suo primo grido. E sai una cosa? Fa bene che lui ti abbia lasciata. Meglio subito. Un vigliacco che non ti amava, non amerà suo figlio. Si può essere madri sole anche con un marito.

Io e mio marito ci siamo sposati al terzo anno di università. Ho sostenuto gli esami con la pancia grossa. Ero nervosa e ho partorito due settimane prima. Credevo di aver fatto felice mio marito. Gli uomini sognano figli maschi. Ma in lui non è mai nato l’istinto paterno. E io, a dire il vero, ero una madre inesperta e goffa.

Quando tornammo a casa con il bambino, speravo di vedere una nuova culla, un passeggino e vestitini comprati con amore. Invece mia suocera portò la culla della nipote, figlia della sua primogenita. E anche i vestiti erano usati. Mio marito prese un passeggino malconcio da un amico. Disse che non avevamo soldi per uno nuovo.

Mi spezzava il cuore vedere mio figlio vestito di stracci, con magliette rosa e cappellini da femmina. Non eravamo poveri, eppure sembravamo mendicanti. Anche dopo, quando mio marito iniziò a guadagnare bene, portava vestiti dei nipoti più grandi.

I miei genitori compravano qualcosa, ma un bambino cresce in fretta e di tutto ha bisogno. Quando mi lamentavo, mio marito diceva che i soldi non bastavano. Che avrei potuto viziarlo quando avessi trovato lavoro. Un colpo al cuore. Mio figlio, a quanto pare, era solo mio.

Continua a rimproverarmi perché stavo a casa, senza lavorare. Io mi affannavo come una trottola. Non riuscivo a fare nulla, non sapevo come gestirmi. Appena finivo di allattare Davide, dovevo preparare il pranzo, portarlo a passeggio. Se piangeva, lasciavo tutto e correvo da lui. Quando trovavo il tempo per me?

Mi ero rassegnata. Ero ingrassata dopo il parto. Non entravo in nessun vestito, figuriamoci nei jeans. Con mio marito era inutile parlarne. Avrei potuto lavorare, ma con chi lasciare il bambino? I miei genitori erano ancora giovani, lontani dalla pensione, non potevano aiutare.

Davide non aveva ancora due anni quando lo misi all’asilo. Mi sanguinava il cuore. Con un marito vivo e vegeto. Ma che fare? Lui non parlava che di soldi.

Appena tornai a lavorare, lui si comprò un’auto di lusso a rate. E i soldi continuavano a mancare. Se avessi visto come andavo in ufficio. I vestiti erano stretti, mi stavano male. Che vergogna. Mio figlio con gli stracci, io peggio di una mendicante, e lui con la macchina costosa.

Al parco, le altre mamme vantavano i regali dei mariti: anelli di diamanti, pellicce. Io non meritavo neanche un vestito nuovo. Lo giustificavo. Eravamo giovani, appena sposati, e subito un figlio…

I miei genitori mi aiutavano. Un giorno mia madre mi vide come andavo in ufficio e mi comprò vestiti nuovi.

Litigavo spesso con mio marito, piangevo. I rapporti si erano guastati. Poi scoprii che aveva un’amante.

– Cosa ti aspetti? Guardati – alludeva al mio peso, ai vestiti dimessi.

Gli dissi tutto, presi Davide e andai dai miei. Lui cercò di riportarmi a casa, ma svogliatamente. Il giorno dopo si trasferì con l’amante nel nostro appartamento. Credevo di morire dal dolore. Ma sopravvissi.

Prima del divorzio, cercò di convincermi a non chiedere gli alimenti. Prometteva più soldi di quelli ufficiali. Non gli credetti, e feci bene.

Al lavoro conobbi un uomo più grande di me. Ci accompagnò in ospedale un paio di volte. Capii che gli piacevo, ma temevo una nuova delusione. Una volta scottata…

Ci vollero due anni prima di sposarci. Con DavPoco tempo dopo, Rossetti decise di tenere il bambino e insieme a Caterina scoprirono che la vita, anche se imprevedibile, può regalare sorprese meravigliose se si ha il coraggio di fidarsi.

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