«Ho 38 anni e ho ancora paura di mia madre. Questo mi distrugge dentro»

Ho 38 anni e ho ancora paura di mia madre. E questo mi divora dentro.

Ogni anno che passa mi guardo sempre più spesso allo specchio e cerco di ricordarmi chi sono. Una donna che ha ottenuto molto: una laurea, una posizione di prestigio in un’importante azienda di logistica a Bologna, un matrimonio stabile, anche se senza figli. Mio marito, Matteo, lo rispetto, lo amo e lo considero la mia ancora, mentre suo figlio del primo matrimonio, Davide, ormai lo vedo come mio. In teoria: famiglia, serenità, equilibrio. Dovrei vivere e godermi la vita. Eppure, dentro di me c’è una paura. Non quella adolescenziale, non qualcosa di vago, ma qualcosa di concreto, fisico. La paura di mia madre.

Ho trentotto anni. Dirigo un dipartimento, risolvo problemi complessi, conduco trattative con i partner, assumo e licenzio persone. Ma basta che compaia lei — mia madre — e tutto crolla. Le gambe tremano, la gola si chiude, i palmi delle mani diventano gelidi e nella mia mente riaffiorano ricordi d’infanzia: quando mi strappava via le coperte e mi tirava i capelli perché non avevo lavato i piatti dopo cena. Quando mi lanciava la ciabatta perché ero tornata tardi da scuola. Quando rideva di me davanti ai suoi ultimi fidanzati, paragonandomi alle altre ragazze. I suoi tre matrimoni sono stati un inferno. Mio padre è sparito nel nulla, e non so nemmeno se sia ancora vivo. Lei, col tempo, è diventata sempre più dura e cattiva.

Matteo lo vede. Non intuisce soltanto — è stato testimone. Ha visto come mi irrigidisco quando sento la sua voce al telefono. Come balbetto quando si presenta all’improvviso. Mi ha proposto di fare terapia, ha detto che devo liberarmi di questo peso. Ma io… non riesco. Io, una donna adulta, una dirigente, ho paura di sembrare fragile. Andare da uno psicologo significherebbe ammettere che non mi controllo. E io ho passato la vita a fingere di essere una donna di ferro. Peccato che basti una sola telefonata di mia madre per trasformarmi in una bambina tremante.

All’inizio veniva da noi *per poco* — un paio di giorni. Poi quei *due giorni* si trasformavano in una settimana. Arrivava con le valigie, faceva la revisione dei nostri armadi, frugava tra i documenti, la biancheria, una volta ha persino sbirciato nel mio laptop. A cena, con tutta calma, ha chiesto a Matteo:
«Quante amanti hai avuto, vivendo con una donna così fredda e noiosa?»
Non sono riuscita a dire una parola. Nessun suono. Mi sono solo nascosta nel tovagliolo mentre Matteo, furioso, la cacciava di casa.

Ma lei è rimasta. Altri due giorni. Con la frase: «Sono tua madre. E tu sei mia figlia». Tutto qui. Con quella frase cancellava ogni limite. Ogni cosa. Ogni intrusione non richiesta.

E io non so dirle di no. Questa è la mia tragedia. Non appena sento la sua voce, perdo la parola. Non riesco a rifiutare. Sempre dico: «Sì, vieni pure…» anche se tutto dentro di me urla: «No! Non voglio!» Mento a me stessa, mento a mio marito, mento a tutti. E mi odio per questo.

Una settimana fa mi ha chiamato e, tranquilla, mi ha detto:
«Ho comprato i biglietti. Sarò da voi dal 30 dicembre al 10 gennaio.»
Peccato che io, Matteo e Davide avessimo già pianificato le vacanze di Capodanno. Volevamo andare a Firenze, prendere una stanza, riposare in tre. Avevo già pensato persino al menù. Ma mamma ha deciso — e la frittata è fatta. E, ovviamente, anche stavolta non sono riuscita a dirle: «Non venire.»

Ma questa volta io e Matteo abbiamo deciso diversamente. Andremo via. Prenoteremo un hotel. Spegneremo i telefoni. Scapperemo. Lei arriverà, bacerà la nostra porta e farà quel che vuole. Non è vendetta. È un tentativo di sopravvivere. Perché un altro Capodanno con lei non lo reggerei.

A volte mi fa paura ammetterlo persino a me stessa, ma non amo mia madre. Ne ho paura. E non capisco perché mi odi così tanto da continuare a distruggermi la vita anche adesso. Tutto quello che voglio è vivere. Senza lacrime, senza paura, senza quell’attesa costante del dolore, dell’umiliazione, dello scherno.

Non so se scappare di casa sia una scelta da adulti. Ma adesso è l’unica cosa che può salvarmi. Almeno un po’. Almeno per un po’. Da mia madre, da cui, ahimè, non riesco a difendermi nemmeno a trentotto anni.

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