**Diario personale**
Sei anni di sacrifici, rinunce a ogni piccolo piacere, e finalmente io e Luca siamo riusciti a comprare un nostro bilocale. Non è una reggia, ma è luminoso, accogliente, e soprattutto è nostro. Doveva essere l’inizio della nostra vita felice, soprattutto ora che Sofia è in procinto di partorire. Mancano pochi giorni, tutto è pronto: la cameretta organizzata, le valigie per l’ospedale pronte, manca solo l’ultima pulizia prima dell’arrivo del nostro bambino.
Sofia ha sempre sognato la sua indipendenza, lontana dalle ingerenze dei genitori e soprattutto di sua suocera, Claudia. Con lei i rapporti sono sempre stati… complessi. Ama dare ordini, decidere come vivere, respirare, persino come lavare i piatti. Una volta, Sofia ha perso la pazienza e le ha detto chiaramente che non aveva bisogno dei suoi consigli continui. Claudia si offese e sparì dalle nostre vite. Per un po’.
Quando portai Sofia in ospedale, non potevo immaginare cosa mi aspettava. Il giorno dopo il ricovero, mia madre mi chiamò: «Sto arrivando a trovarvi». Non ebbi neanche il tempo di rispondere che era già sulla porta, elegante e solenne. Perlustrò l’appartamento con aria critica: l’ingresso «passabile», le tende «orribili», la cucina «un incubo lucido, ora tocca lucidarla ogni giorno!». Frugò nel frigo, insultando i ravioli surgelati e annunciando che il giorno dopo avrebbe preparato il minestrone. Tentai di prenderla in giro, di cambiare discorso, ma niente. Mise una tuta e si lanciò all’assalto delle stanze rimanenti.
La sera, cercai di riportarla a casa sua. «Rimango qui stanotte», disse. «Non puoi restare solo, chissà se domani portano Sofia». E rimase. Una notte. Poi due. Poi tre…
Mentre ero al lavoro, spostò mobili, riordinò gli armadi, decise dove mettere il fasciatoio e cosa ancora mancava. Stavo impazzendo, ma non osavo contraddirla. Finché non annunciò: «Resto qualche mese, vi aiuterò con il bambino. Da soli non ce la farete».
Quando tornammo a casa con Sofia, trovammo tutti ad aspettarci: i miei genitori, Claudia raggiante. Sofia capì subito che qualcosa non andava. Nuove tende, mobili spostati, un odore estraneo nell’aria. I suoi se ne andarono. Claudia no. Allo sguardo muto di Sofia, borbottai: «Mamma resterà un po’. Ci aiuterà…».
Sofia era esausta, ma non c’era scampo. E quella sera iniziò l’inferno: «Non lo tieni bene», «Non lo fasci come si deve», «Piange perché non sai cullarlo». Sofia resistette in silenzio, finché Claudia non le strappò il bambino dalle braccia. Allora, esplose.
«Grazie dell’aiuto, ma ora puoi andare», disse con calma. «È mio figlio. E a cullarlo ci penso io. Da sola».
Claudia roteò gli occhi, profondamente offesa. Anche io tentennai, ma lo sguardo di Sofia mi bloccò. Era serena. Forte. Era casa sua. La sua famiglia.
Claudia fece le valigie. Non tornò più. Io capii che Sofia non aveva bisogno di ordini, ma di sostegno. E lei, per la prima volta, si sentì davvero padrona della sua vita. Non importa quanto tempo sia passato dal parto: l’importante è che non si è lasciata spezzare.