Chi vive con la tua persona?

Con chi vive il tuo uomo

Giovanni Battista, o semplicemente Gianni per amici e colleghi, aveva appena ottenuto la promozione a capo reparto in una grande azienda a Milano. Il riconoscimento era meritato — lavoratore instancabile, riservato, puntuale. Non ambiva al comando, ma avanzava con passo sicuro. I festeggiamenti in ufficio furono modesti: Gianni sorrise appena, ringraziò e promise di far sì che il team non si pentisse della sua nomina.

A gioire più di tutti fu sua madre, Maria Teresa. Era stata lei, anni prima, a portarlo dai medici, a pagare i ripetitori, a comprargli i vestiti invernali e a mettere da parte dalla pensione per l’università. Fu sempre lei a insistere perché offrisse ai colleghi qualcosa di fatto in casa — torte, insalate, stuzzichini. E se all’inizio Gianni cercava di svignarsela, alla fine cedette: non voleva deluderla.

Il giorno della festa, andò a casa di sua madre a prendere il cibo. Lei però aveva un appuntamento dal cardiologo, quindi aveva lasciato tutto in frigo, già ben confezionato. Durante la breve pausa pranzo, Gianni decise di non trasportare tutto da solo e chiese aiuto a una nuova collega, Beatrice, che accettò con entusiasmo.

Beatrice, bionda e con occhi castani, era quel tipo di donna che tutti notano. In ufficio si mormorava: dicevano che avesse messo gli occhi su Gianni, sempre lì a sorridergli, a chiedergli un passaggio…

Entrarono nell’appartamento di sua madre, modesto ma pulito e accogliente. Gianni aprì il frigorifero e cominciò a tirar fuori i vari contenitori. Beatrice si sedette su uno sgabello, dando un’occhiata in giro:

— Che casa accogliente che ha tua madre… sembra proprio vissuta. E quello chi è?!

Dalla stanza sbucò un cagnolino nero che cominciò a ringhiare contro l’estranea.

— È Mosca, — spiegò Gianni, sollevandolo tra le braccia. — Non ti preoccupare, è buonissimo.

— Mosca?! Che nome… — fece una smorfia Beatrice. — Fammi il piacere, che non si avvicini. Potrebbe anche strapparmi le calze.

Gianni rimase in silenzio. Quell’espressione sul suo viso lo ferì, senza motivo. Ma non era finita lì — dal corridoio arrivò un gatto nero ben pasciuto, che si strusciò con dignità contro le gambe del padrone.

— Questo è Duca, — disse dolcemente Gianni, prendendo del pesce lesso dal frigo. — Ecco, amore, la tua pappa.

Beatrice indietreggiò verso la porta.

— Ma qui è uno zoo! In un appartamento così piccolo, sia cane che gatto? È un po’ antigienico… peli, odori… Tua madre non soffre di allergie?

— E tu? — chiese piano Gianni.

— Io? No… non saprei. A casa non abbiamo mai avuto animali. Non mi piacciono. Sono sporchi…

Gianni continuò in silenzio a preparare le buste. Il sorriso era sparito. Beatrice se ne stava in disparte, scacciando più volte il cagnolino che voleva annusarle le scarpe.

— Stasera torno a portarli a spasso, — disse infine Gianni. — Mia madre si arrabbierà perché li avrò viziati, ma come resistere?

— E perderci anche tempo… Beh, qualcuno dovrà pur farlo, — borbottò Beatrice con una mezza risatina, avvicinandosi alla porta.

Durante il viaggio di ritorno, chiacchierò del nuovo menu della mensa, della gonna di Laura, di come un’impiegata della contabilità si fosse sposata per la terza volta. Gianni camminava in silenzio, annuendo ogni tanto. Nella testa gli ronzava: «Vuoto. Falsità. Estranea…»

In ufficio lo aspettavano: gli consegnarono un thermos, lo abbracciarono, lo presero a pacche sulle spalle. Dopo il lavoro, apparecchiarono una tavola, bevvero un po’, mangiarono tanto. Beatrice non si staccò da lui — una battuta, uno sguardo, una richiesta di passaggio. Ma Gianni rispose con calma:

— Scusa, ho fretta. Ho un appuntamento importante.

A casa lo aspettava sua madre.

— Allora, com’è andata? — chiese sorridendo, aprendogli la porta.

— Tutto benissimo, mamma. Le tue torte sono sparite in un attimo. Dicevano che sembravano da pasticceria. Di me si sono già dimenticati…

— E quella con cui sei venuto oggi — Beatrice? La vicina l’ha vista, dice che è una bellezza. È lei?

— No. Solo una collega. E in realtà, per ora non c’è nessuna. Avevo mentito per farti piacere. Scusami.

— Va bene. Ma se dovesse arrivare… come dovrebbe essere, la tua “quella giusta”?

Gianni ci pensò su.

— Umile. Gentile. Intelligente. E… che ami te. E Duca. E Mosca.

La madre sorrise.

— Oh, Gianni, l’importante è che ami te. Allora accetterà anche noi tutti. Persino il gatto calvo con il caratterino.

Lui annuì. Poi prese il guinzaglio, chiamò i due “bestioni” e uscì in strada. I tre corsero allegramente per il cortile, come ai tempi in cui tutto era semplice — la madre a casa, una merendina nello zaino, un cucciolo in braccio, un gatto sulla spalla e davanti, tutta la vita.

La madre guardò dalla finestra e strinse i pugni.

— Trent’anni, capo reparto, ma dentro è ancora un bambino. Che Dio ti mandi il vero amore, figlio mio… E che lei vi ami tutti in una volta. Duca. Mosca. E la mamma.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

1 + seven =

Chi vive con la tua persona?