La Porta del Tradimento

La Porta del Tradimento

Dopo tre mesi di turno estenuante, Arturo Lombardi tornava a casa, stanco ma con il cuore gonfio di soddisfazione. Il cielo era grigio, ma dentro di lui splendeva il sole: stringeva la busta paga, immaginando già la gioia di sua moglie, l’eleganza passionale di Veronica. Avevano appena comprato un bilocale in un palazzo popolare alla periferia di Milano. Lui stesso aveva stuccato le pareti, montato i controsoffitti, posato le piastrelle e sistemato gli elettrodomestici. Mancava solo l’ultimo tocco: arredare la casa come lei desiderava.

«Artù, niente mezze misure! Voglio che sia perfetta, come quella di Isabella e Sandro! Tutto di prima qualità!»

Lui annuiva, acconsentiva, partiva per il lavoro, sgobbava fino allo sfinimento solo per farle brillare gli occhi. Sopportava il freddo nel container della piattaforma petrolifera, lontano dal calore di casa, dal profumo del caffè del mattino. Restava solo la sua voce al telefono, spesso capricciosa, esigente.

Alla stazione, si fermò alla bancarella dei fiori. Scelse con cura le rose più fresche, un mazzo scarlatto e imponente. Salì su un taxi e, quindici minuti dopo, era già davanti al palazzo, il cuore in gola. Salì al quarto piano come se avesse le ali. Stava per infilare la chiave nella serratura, ma poi cambiò idea. Sorrise e suonò il campanello.

Silenzio. Stava già tirando fuori le chiavi quando la porta si spalancò. Sulla soglia, un estraneo con addosso la sua vestaglia. Alto, spalle larghe, torso scoperto e uno sguardo sfacciato.

«Chi cavolo sei? Hai sbagliato porta, vecchio?» ringhiò l’uomo.

Il mondo gli crollò addosso. Arturo rimase pietrificato. Le rose gli caddero lungo il fianco.

«A quanto pare, non ho sbagliato solo la porta…»

La porta sbattè. Lui era paralizzato. Il sangue gli martellava nelle tempie, le mani tremavano. Davanti agli occhi, i ricordi: la carta da parati appesa di notte, le piastrelle lucidate a dovere, la cucina comprata a rate… e ora, un estraneo nella sua casa.

I fiori finirono nel cestino più vicino. Arturo chiamò un taxi e si diresse da Michele, il suo migliore amico. Lungo la strada, entrò in un discount, comprò una bottiglia di grappa, acciughe e cetrioli. Michele fu felicissimo di vederlo dopo tanto tempo.

«Che sorpresa! Brindiamo al ritorno!»

Dopo il secondo bicchiere, Arturo non resistette e raccontò tutto. Michele, mezzo calabrese e sanguigno, balzò in piedi.

«Cosa?! Nella tua casa?! Io gli avrei—io gli faccio—!» e sferrò un pugno sul tavolo.

Arturo lo afferrò per una spalla.

«Miche’, calmati. Ma… ci vendichiamo?»

«Certo che sì!»

Ubriachi e pieni di furore, chiamarono un taxi e partirono verso l’appartamento di Arturo. I piani erano confusi, la testa gli ronzava.

Arrivarono. La luce in camera era accesa. Arturo ruggì:

«Adesso vi faccio vedere io…»

Michele iniziò a picchiare sulla porta:

«Apri, vigliacco! Chi ti credi di essere? Esci fuori, parliamo da uomini!»

La porta si aprì di scatto—e subito un pugno volò nell’aria. Michele rotolò all’indietro, la mano sul naso.

«Che accoglienza…» borbottò, asciugandosi il sangue.

Arturo esplose. Con una spallata, fece volare la porta dai cardini. La pesante struttura cadde con un tonfo nell’ingresso. I due irruppero dentro come un ciclone, urlando come forsennati.

«Dov’è quel bastardo?!»

Veronica strillava in cucina, il telefono tremante tra le mani. Michele corse verso il corridoio:

«È scappato dal balcone?»

Ma all’im-provviso—un gemito. Sotto la porta divelta, si contorceva l’amante, schiacciato dal legno e dalla sua stessa arroganza. Era ridicolo: vestaglia scomposta, volto terrorizzato, bocca insanguinata.

«Questa sì che è vendetta!» rise Michele, dando un colpetto al fianco illeso.

E come se non bastasse, dalle scale arrivò un urlo straziante:

«Aiuto! Gente, per favore! Stanno ammazzando qualcuno!» Era la suocera di Arturo, a giudicare dalla voce.

La lucidità tornò in un istante. I due fuggirono, senza aspettare i carabinieri. Il giorno dopo, Arturo chiese il divorzio. Non voleva più vivere in una casa dove era stato umiliato. Dove un estraneo passeggiava con la sua vestaglia.

Una settimana dopo, ripartiva per un altro turno. Michele lo accompagnò, con un occhio nero e le dita fasciate.

«Però è stato epico!» rise. «Se ti risposi, evita un’altra Veronica. Ma chiamami, eh! Se serve, ci sono io…»

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