— Dario, quanto dobbiamo ancora aspettare? — la voce di Giulia si fece un sussurro stremato, carico di disperazione. — Siamo sposati da due anni e ancora viviamo con tua madre. Quando finirà questa situazione?
— E cosa c’è che non va adesso? — si irritò il marito. — Abbiamo un tetto sulla testa, tutto quello che ci serve. Non hai un appartamento tuo e non possiamo permetterci un affitto. Mamma cucina, ci aiuta, si prende cura di noi. Qual è il problema?
— Preferirei vivere in un monolocale in affitto piuttosto che stare con tua madre… — mormorò Giulia.
Dario alzò le spalle, rassegnato.
— Se vuoi, vai dalla tua mamma di campagna e lascia perdere il lavoro. Io resto qui. Mi sono abituato alla città.
Quelle parole fecero male a Giulia. Sì, veniva da un piccolo paesino vicino a Siena, dove era rimasta sua madre. Ma non era colpa sua se il destino l’aveva portata in città, dove aveva incontrato suo marito, trovato lavoro e cercato di costruirsi una vita. Adesso, però, le sembrava di sentirsi dire: qui non conti niente.
Vivere sotto lo stesso tetto con la suocera stava diventando insopportabile. Per Dario, ovviamente, era tutto comodo — per sua madre lui era il figlio perfetto, mai un rimprovero, mai una critica. Ma Giulia era trattata come un’estranea, quasi avesse “rubato” il figlio alla donna.
Maria Antonietta era rimasta vedova presto. Aveva cresciuto Dario da sola, e ora tutta la sua vita ruotava attorno a lui. Per questo, fin dall’inizio, aveva visto Giulia come una rivale. In apparenza, gentile e educata. Ma appena Dario usciva dalla stanza, cominciavano i commenti taglienti.
All’inizio criticava il modo in cui Giulia lavava i piatti o sistemava le tazze nella credenza. Poi era passata al tè — troppo dolce, troppo amaro, “senza sapore”. Una volta l’aveva accusata di non preoccuparsi della salute di suo figlio perché metteva lo zucchero.
E la cucina era diventata un problema a parte. Ogni piatto preparato da Giulia veniva ignorato o, peggio, buttato via. Si sentiva sempre più fuori posto in quella casa. Usciva presto per il lavoro e la sera rimaneva fuori il più possibile, pur di non tornare in quell’appartamento dove ogni cosa diventava un pretesto per rimproverarla.
Persino un fazzoletto lasciato sul comodino era motivo di commenti: “Si vede che sei abituata a vivere nello sporco”. Nessuna parola gentile, nessun rispetto. Solo critiche, sarcasmo e freddezza.
Un giorno, Giulia non ce la fece più. Mise qualche cosa in una borsa e partì per il paese di sua madre, quello da cui era scappata inseguendo un sogno. Seduta vicino alla finestra, pianse. Non per la rabbia, ma per la stanchezza. Per non aver avuto la forza di combattere. Per non aver trovato in Dario un alleato.
Passò del tempo. Il dolore si placò. E allora capì: non avrebbe dovuto tacere. Avrebbe dovuto parlare chiaro con Dario prima, chiedergli sostegno, esigere di non essere lasciata sola in quella battaglia. Perché se un marito tace, è già una risposta.
Oggi Giulia sa che vivere con un’altra donna, anche se è la madre di suo marito, è sempre un rischio. Soprattutto se ti ritrovi sola in quel “triangolo”. Ma una cosa è certa: non bisogna arrendersi. Una famiglia si salva se si lotta insieme, non se si affronta tutto da soli.
E voi, che ne pensate? Aveva ragione Giulia o Dario? È possibile convivere con la suocera, o è meglio andarsene ai primi segni di tensione?