**Felicità Tardiva**
Luciano si perse a lungo tra le strade di una città sconosciuta e grande, fino a raggiungere la stazione. Le gambe gli ronzavano per la fatica, e l’umore era nero. Era partito con tanta gioia, non immaginando di dover tornare via così. Non aveva colpe, eppure scappava come un gatto sorpreso a rubare il pesce.
Notò un posto libero nella sala d’attesa e si sedette per riposare. “Mi riprendo un attimo, poi vado a chiedere del biglietto. Cinque minuti non cambieranno nulla. Per fortuna non ho preso il ritorno in anticipo. Pensavo di fermarmi una settimana… Pazienza.”
Quando sentì le gambe meno pesanti, sollevò la borsa da ginnastica, ormai insostenibile, e si diresse verso le biglietterie. In fila, osservò il trambusto della stazione, chiedendosi cosa avrebbe fatto se i treni fossero stati esauriti. Ma la bigliettaia gli consegnò il biglietto. Peccato solo che avrebbe dovuto aspettare più di tre ore. Niente di grave. L’importante era tornare a casa.
Luciano infilò il biglietto e il passaporto nella tasca della giacca e si guardò attorno. Qualcuno aveva già occupato il suo posto. Uscì all’aperto, vicino ai binari. Lungo il muro della stazione c’erano altre panchine. A un marciapiede, un treno veloce era pronto a partire. Il tabellone elettronico mostrava orario e destinazione. Tutti i passeggeri erano già saliti, lasciando le panchine deserte.
L’odore ostinato di creosoto e polvere si mescolava al fumo delle sigarette, al tanfo di alcol e al sudore di corpi non lavati. Nemmeno l’aria fresca aiutava. In un giorno, migliaia di persone attraversavano quella stazione, tra senzatetto e ubriachi.
Luciano si sistemò su una panchina da cui vedeva bene tutti i tabelloni e i binari, preparandosi ad aspettare. Nella mente, riviveva il dialogo con il nipote di Giulia, ripensando alle frasi giuste che avrebbe dovuto dire… e invece era rimasto muto.
“Libero?” chiese una voce giovane accanto a lui.
Luciano alzò lo sguardo e vide un uomo in un completo elegante, con una valigia piccola e rotelle.
“Libero, accomodati,” rispose, spostandosi leggermente anche se c’era spazio. Notò che tutte le altre panchine erano occupate.
L’uomo si sedette all’altro capo, allentò la cravatta e posò la valigia accanto a sé.
“Sei in viaggio di lavoro?” chiese Luciano, con l’impulso di parlare, di sentire una voce umana.
“No, torno a casa,” rispose l’uomo, a denti stretti, dandogli un’occhiata.
“Anch’io torno,” sospirò Luciano.
“Anche tu da un viaggio di lavoro?” chiese l’altro, scettico.
“No. Ero in visita. Pensavo di fermarmi una settimana, ma non è andata,” Luciano abbassò la testa.
“Ti hanno cacciato?” domandò l’uomo, con una punta di compassione.
“Più o meno. Aspetto il treno per Napoli. E tu?”
“Siamo sfortunati, dovremo aspettare. Anch’io devo tornare prima del previsto. Ho dovuto cambiare il biglietto.”
“Che carrozza hai?” chiese Luciano, curioso.
“L’undicesima.”
“Allora viaggeremo insieme. E il posto? Non è il quinto, per caso?”
“Il quinto,” disse l’uomo, sospettoso, frugando in tasca per il biglietto. Lo controllò, annuì e lo rimise via. Poi batté le mani sulle ginocchia.
“Che coincidenza. Hai appena comprato il biglietto?” chiese, osservando meglio Luciano. Sarebbero stati compagni di viaggio per ore.
“Sì.”
“Dovevo partire tra due giorni, ma mia moglie ha chiamato. La bambina è malata. Dice che ha paura persino di pronunciare la diagnosi, piangeva. Ho dovuto interrompere il viaggio.”
“Sarebbe stato più veloce l’aereo,” osservò Luciano.
“Ho paura di volare, a dirla tutta. Il treno è più tranquillo.”
In quel momento, dall’interno della giacca dell’uomo, squillò il telefono. Lo tirò fuori e rispose. Luciano si girò, fingendo di non ascoltare.
“Ciao. Sì, sono in stazione, ho già il biglietto… Anch’io speravo… Mi manchi. Non piangere, proverò a raggiungerti…” Ascoltò a lungo, lo sguardo perso. “Va bene, ti chiamo se cambia qualcosa. Baci. Ciao.” Chiuse la chiamata e rimise via il telefono. Il suo umore era ormai cupo. Luciano tacque.
“Non fare finta di non capire,” sbottò l’uomo all’improvviso. “Non giudicarmi, vecchio. Non sai niente,” passò al “tu” senza preavviso.
“Non ti giudico. Non sono affari miei,” rispose Luciano.
“Giusto così. Strapperei chiunque per mia figlia. Ma mia moglie… Mi sono innamorato come un ragazzino. A te è mai successo?” L’uomo lo fissò, in attesa.
“Capita, chi più chi meno. Ma non ho mai tradito mia moglie. Se ti sposi, hai una responsabilità. E se fosse stata lei a farlo? Come vivresti?” confessò Luciano. “Quindi il viaggio di lavoro era una scusa?”
“Ci sei arrivato. Vengo qui ogni sei mesi, mi rigenero l’anima,” il suo sguardo si perse. “Così riesco a continuare.”
“Quanti anni ha tua figlia?” chiese Luciano.
“Dodici. E tu dove vai? Sei stato dai tuoi figli? Tuo figlio ti ha sbattuto fuori?” domandò l’uomo, con un tono quasi vendicativo.
“Mio figlio vive a Milano con la sua famiglia. Mi invita sempre. Ma perché dovrei andare? Hanno la loro vita. Non voglio intralciare.”
“Giusto così,” annuì il compagno di panchina.
“Mia moglie è morta tre anni fa. Mi ero sposato per dispetto, per dimenticare un amore. Quando se n’è andata, avrei voluto seguirla. Stare solo mi faceva stare male. Forse l’amavo, senza saperlo. L’amore è strano. Ma va bene così. Se non ci pensi, il dolore si attenua,” condivise Luciano.
“Eri dai parenti?” chiese l’uomo.
Così funziona l’uomo. Quando soffri, il dolore altrui ti aiuta a distrarti. E il tuo male sembra meno insopportabile.
“No, ma ho visto la persona più importante della mia vita,” rispose Luciano.
“Racconta. Abbiamo tre ore qui. Mi chiamo Matteo.” Tese la mano.
“Luciano.” Si strinsero la mano.
“Senti, Elena mi ha preparato del pollo arrosto e delle torte salate. Cucina bene. Posso andare a prendere della birra?” propose Matteo, come a un vecchio amico.
“Non bevo. E non ho fame. Mangia pure,” suggerì Luciano.
“Giusto. Racconta.” Matteo si sistemò meglio sulla panchina, incrociò le gambe, avvinghiandosi alle ginocchia.
“Che vuoi che ti dica?” iniziò Luciano. “A scuola amavo una ragazza. Perdevo la testa, non respiravo quando la vedevo. E lei non mi notava. Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Poi la leva militare. Credevo sarei impazzito di gelosia.”
“E lei si è sposata mentre ero sotto. L’ho scoperto soloLa ragazza della sua giovinezza, Giulia, gli sorrise tra le lacrime e sussurrò: “Finalmente abbiamo trovato il nostro tempo, anche se è arrivato così tardi”.