Beatrice uscì da scuola con il cuore leggero. Quella mattina in classe avevano raccolto i soldi per i fiori e il regalo alla professoressa. E Matteo aveva detto che alle donne piacciono le rose, guardandola con quegli occhi che sembravano parlare solo a lei.
Il cuore di Beatrice aveva fatto un salto. Era sicura che fosse un anticipo del suo regalo per l’8 marzo… le altre ragazze ne sarebbero morte d’invidia.
Le era piaciuto fin dal primo giorno, quando era entrato in classe l’anno prima. Suo padre, militare, era stato trasferito nella loro cittadina. Matteo era sicuro di sé, indipendente. Sembrava non importargli nulla del giudizio degli altri. Ed era proprio questo che attirava Beatrice, che invece ci pensava sempre, temendo di fare brutte figure o sembrare ridicola.
I compagni lo rispettavano subito, persino i professori ascoltavano le sue opinioni.
Era ancora febbraio, ma l’aria sapeva già di primavera: gli uccelli cantavano al mattino, il sole si faceva più presente, i ghiaccioli sui tetti si scioglievano con un suono di gocce musicali. Il cuore le si stringeva in petto, pieno di attesa per qualcosa di magico.
Quando aprì la porta di casa, però, sentì subito le urla. Di nuovo. I suoi genitori stavano litigando. Le venne una stretta allo stomaco. Prima era tutto diverso: le vacanze al mare, i capodanni con i petardi… E se si fossero lasciati? Tutto questo sarebbe finito?
La sua compagna Giulia aveva la mamma che si era tagliata le vene quando il padre se n’era andato. Piangeva in classe ogni giorno. Marta, invece, diceva che era comodo: due case, due regali, più soldi. Ma la felicità è forse nei regali?
Le urla cessarono all’improvviso. Beatrice, in punta di piedi, sbirciò dalla porta socchiusa della cucina. Suo padre era vicino alla finestra, di spalle. La mamma seduta al tavolo, la faccia nascosta tra le mani, le spalle che tremavano. Capì che stava piangendo.
“Calmati, tra poco torna Beatrice da scuola,” disse il padre senza voltarsi. “Cosa devo fare perché tu mi creda?” Poi si girò e la vide sulla porta.
“Da quanto ci spioni?” sbottò, arrabbiato.
“Quanto basta per capire,” rispose lei secca.
“Capire cosa?” La mamma alzò lo sguardo. Il naso gonfio, gli occhi rossi, il mascara colato sulle guance. “Come fa a non rendersi conto che così lo allontana ancora di più?” pensò Beatrice, irritata.
“Volete lasciarvi,” sparò senza pensarci.
Il padre aggrottò le sopracciglia, ma non disse nulla.
“E di me vi siete preoccupati? Avete già deciso con chi starò? Non conto niente? Non voglio stare con uno di voi, voglio stare con voi due! Se vi siete stufati, allora anch’io voglio altri genitori! Vi odio… entrambi!” La voce le tremava, piena di lacrime represse.
Si girò, corse in ingresso, si infilò le scarpe e sbatté la porta dietro di sé.
“Beatrice!” La voce della madre rimase sospesa nel vuoto.
Non prese l’ascensore, scese di corsa le scale. Fuori si fermò a mettersi i guanti. A chi poteva andare? Ma non aveva voglia di parlare. Chi l’avrebbe capita, se nemmeno i suoi genitori ci pensavano?
Camminò senza meta. Se di giorno i ghiaccioli si scioglievano al sole, la sera il freddo era tornato. Dopo un po’, entrò in un bar per scaldarsi. La vista dei panini e dei dolci le fece venire l’acquolina.
Trovò qualche moneta nel taschino e comprò un cornetto. Appena uscita, lo addentò avidamente. Stava ingoiando l’ultimo boccone quando qualcuno la chiamò.
Era Luca, della classe parallela.
“Ciao. Che fai, giri?”
Beatrice non poteva rispondere con la bocca piena. Il cornetto era più secco del previsto.
Luca tirò fuori dalla borsa una bottiglietta d’acqua e gliela porse.
“Bevi, se non ti schifo. Altrimenti ti strozzi.”
Lei lo guardò grata e bevve un sorso. Finalmente deglutì.
“Grazie,” disse restituendogli la bottiglia. Stava per andarsene.
“Ma casa tua non è dall’altra parte?” fece lui.
“Non sono affari tuoi,” ringhiò lei.
“È buio, non è sicuro girare da sola, e tra poco chiudono anche i negozi. Vieni, ti accompagno.”
Beatrice ci pensò un attimo, poi annuì. Camminarono insieme, parlando delle gare di atletica di Luca, degli allenamenti, dei prof. All’angolo di casa sua, si fermò.
“Abiti qui? Non vuoi entrare? Genitori insopportabili? Capisco,” fece lui con una mezza risata.
“Stanno per lasciarsi,” mormorò lei.
“Ah. Quando mio padre se n’è andato, ho fatto i salti mortali. Litigavano così tanto che sono scappato di casa. Pensavo che, cercandomi, avrebbero fatto pace. Il dolore unisce, no?”
“E allora?” chiese lei incuriosita.
“Si sono riconciliati. Ma mio padre se n’è andato comunque. Io ho passato due notti in cantina finché la polizia non mi ha trovato. Quell’odore di muffa me lo ricordo ancora.”
“E tuo padre?” fissò Luca con interesse.
“Lui? Ha una moglie più giovane. Bella, ma una serpe. La mamma è meglio.”
“E lei? La tua mamma… Ha qualcuno?”
“Come sarebbe? Un uomo? No. Ha me. Anche se non mi dispiacerebbe se si risposasse. Ma lei amava mio padre.”
“Ne parli con tanta naturalezza,” disse Beatrice sorpresa.
“A cosa serve preoccuparsi? Non cambia nulla. Però almeno a casa è silenzio, nessuno urla. Una volta arrivavano alle mani. Ogni cosa ha un lato positivo. Se mio padre fosse rimasto, avrebbe tradito mia madre e lei avrebbe sofferto. Meglio una volta che cento. Dai, vieni da me? Un tè per scaldarti.”
“E tua madre?” chiese spaventata, non aspettandosi quell’invito.
“Di sera è incollata alla TV. Entriamo piano nella mia stanza, non entra mai. Dai, o vuoi continuare a gironzolare? Rischierai di prenderti un malanno.”
Beatrice guardò la strada quasi deserta.
“D’accordo,” sospirò.
La casa di Luca era oltre la scuola, per questo forse non si erano mai frequentati prima.
“Vedi ancora tuo padre?” chiese Beatrice.
“Ogni tanto. Sembra felice. Lui ha la sua vita, io e la mamma la nostra,” rispose senza approfondire.
Il resto del cammino fu in silenzio.
Arrivati, entrarono piano nella sua stanza. Beatrice non notò luce sotto la porta della madre né sentì la TV. Forse dormiva.
La stanza di Luca era stretta, con poster di moto e attori muscolosi alle pareti.
“Robba di quando ero piccolo. Non ho mai avuto voglia di toglierli,” spiegò. “Mettiti comoda, ti porto qualcosa da mangiare.”
Beatrice si avvicinò agli scaffali. Tra i libri di scuola, notò “Ivanhoe” e “I Tre Moschettieri”. E una raccolta di poesie di Ungaretti. Non credeva che ai maschi piacesse la poesia.
Cominciò a preoccuparsi che Luca tardasse, quando lui rientrò con un piatto e una tazza di tè fumante.
“Mangia. Ho messo due cucchiaini di zuccheroIl cuore di Beatrice si sciolse quando, tornata a casa, trovò i suoi genitori seduti vicini sul divano, sorridenti come non li vedeva da tempo, e capì che forse, malgrado tutto, l’amore poteva ancora vincere.




