—Stai bene? Marusya, apri! — Polina batté più forte sulla porta del bagno.
Polina si svegliò e trattenne il respiro. Accanto a lei, il marito russava piano. Il sole di marzo filtrava attraverso le nuvole bianche. Gettò un’occhiata all’orologio sul muro e si irrigidì, temendo di essere in ritardo per lavoro. Poi ricordò che era festa, l’8 marzo.
Bene, lavarsi il viso, prendere un caffè e preparare la colazione prima che Marusya e il marito si svegliassero. Polina scivolò fuori dal letto con cautela. Ma Enzo si mosse, aprendo gli occhi.
—Che ore sono? — chiese, ancora assonnato.
—Le otto e mezza.
Lui si sedette di scatto.
—Tranquillo, è festa, dormi ancora — sorrise Polina.
—E tu perché sei già in piedi? — Enzo la afferrò e le seppellì il naso nel collo. — Auguri, amore mio, madre dei miei figli.
—Be’, per ora ne abbiamo solo uno — rise Polina. — Vado a preparare la colazione, tu riposati ancora.
—Mentre prepari, faccio una corsa. Che bel tempo. — Enzo gettò via le coperte e, a piedi nudi, si avviò verso il bagno.
Polina aveva già setacciato la ricotta per i pancake la sera prima. Bastava aggiungere una banana, infarinare e friggere. Presto la cucina si riempì di un dolce profumo.
—Che buon odore. — Sulla soglia apparve Marusya, con i capelli arruffati, in pantaloncini e maglietta, strizzando gli occhi per la luce.
Un raggio di sole attraversò le nuvole e illuminò allegramente la cucina, riflettendosi sulla caffettiera.
Improvvisamente, Marusya si portò una mano alla bocca e scomparve nel corridoio. Polina rimase immobile un attimo, poi le corse dietro.
—Marusya, apri! Stai bene? — Polina ascoltò, poi bussò alla porta chiusa del bagno. Si udì l’acqua del rubinetto. —Marusya, apri! — Picchiò più forte.
L’ansia le strinse il cuore. Cercò di calmarsi, dicendosi che forse la figlia aveva solo mal di stomaco. Poi un pensiero la colpì, facendole mancare il fiato. «No, non può essere. L’ultimo anno di liceo, brava studentessa, pronta per l’università… Dio, perché?»
L’odore di bruciato la riportò in cucina. Bestemmiando, raschiò i pancake carbonizzati nel cestino. Questo la calmò un po’. «Niente panico», si disse.
Sentì il citofono e pensò che fosse Enzo di ritorno. Aprì la porta e trovò un ragazzo con un mazzo di tulipani multicolori.
—Buongiorno, signora Polina. Sono per lei. — Le porse i fiori con un sorriso.
—Grazie — disse Polina, confusa. — Entra, Marusya è in bagno.
Il ragazzo entrò, senza togliersi la giacca, agitandosi vicino alla porta. Dal suo sguardo, Polina capì che era lui il responsabile.
—Sei tu? — sibilò. —Tu? Sai che potrei denunciarti per adescamento di minorente?
Lui impallidì.
—Sono venuto a parlarle. Amo Marusya e non scapperò dalle mie responsabilità…
In quel momento, Marusya uscì dal bagno, pallida e stanca. Guardò la madre, poi il ragazzo.
—Sei tu? — chiese, come aveva fatto Polina.
—Qualcuno mi spiega perché sta male al mattino? Sei tu? — Polina alzò la voce, fissandolo.
—Mamma! È tutto sotto controllo — Marusya alzò le mani e tornò in camera.
—Marusya! Torna qui!
Il rumore della chiave nella serratura annunciò l’arrivo di Enzo.
—Ah, hai un amante? — indicò i tulipani. — Spero che fossero urla di gioia, si sentivano fin sulle scale.
—Gioia? — Polina soffocò. — Lui… — Non riusciva a dire la verità.
—Amo sua figlia e voglio sposarla — dichiarò il ragazzo, rosso come un peperone.
—Che annuncio. Io che già iniziavo a essere geloso — scherzò Enzo. — Marusya è ancora al liceo, e immagino anche tu. Vediamo, come ti chiami?
—Matteo, Matteo Bianchi. Sono venuto perché…
—Togliti il giubbotto e accomodati. Polina, metti i fiori nel vaso. Fate due chiacchiere, io mi faccio una doccia e ci vediamo dopo.
Con Enzo, Polina si sentì più tranquilla. Sistemò i tulipani sul tavolo, ammirando come i colori vivaci illuminassero la cucina. Poi tornò ai pancake.
Il sole si nascose, come temendo la sua ira. Presto, sul piatto c’era una montagna di pancake. Polina apparecchiò. Enzo rientrò, profumato di bagnoschiuma.
—Che buoni! Marusya, chiama il tuo ragazzo! — Poi, a Polina: — Allora?
Prima che rispondesse, Matteo entrò, timidamente. Alla luce del giorno sembrava giovane e spaventato. Enzo gli indicò una sedia, e lui sedette, fissando i pancake.
Marusya riapparve, curata, con jeans e maglietta. «Forse mi sbagliavo», sperò Polina.
—Polina, siediti — disse Enzo. — Matteo, mangia pure.
Marusya scosse la testa. Polina la guardò, preoccupata.
—Allora, perché sei qui? — chiese Enzo a Matteo.
—Sono venuto a dirle che amo sua figlia e la sposerò.
—Hai fretta per un motivo?
—Sì — rispose Polina. — Nostra figlia è incinta.
—Mamma! — gridò Marusya.
—È vero? — Enzo batté le mani sulle ginocchia. — I tuoi genitori lo sanno?
—Mio padre sì. Mia madre è morta.
Il silenzio scese in cucina.
—Ci siamo passati tutti, ma questo non ti dava il diritto di rovinare la vita di mia figlia — borbottò Polina.
—Basta. — Enzo la strinse. — Affronteremo tutto con calma.
Matteo annuì. —Non lascerò sola Marusya.
—Che bel regalo per l’8 marzo — ironizzò Polina.
—Matteo, è meglio che te ne vada. Ci vediamo con tuo padre — concluse Enzo.
***
Scoprire che una figlia diciassettenne aspetta un bambino è una prova dura. Ma l’unica scelta è sostenerla, non punirla. La vita sarà difficile, ma non impossibile.
Decisero che, fino al diploma, avrebbero mantenuto le apparenze. Poi, matrimonio e trasloco.
Sarà difficile? Sì. Ma nessuno nasce già genitore. Lo si diventa, passo dopo passo.