**Diario di Luca**
Luca si rese conto troppo tardi di trovarsi in piedi su uno sgabello con una corda in mano e che le sue intenzioni potevano essere fraintese. Seduto sul letto in mutande, con i piedi appoggiati al pavimento, gli parve ancora di sentire la voce di sua madre.
“Luca, figlio mio… Luca…”
Quasi ogni notte si svegliava a quel richiamo. Sapeva che non poteva essere lei, perché era morta tre settimane prima. Eppure si alzava, ascoltava, aspettava.
Gli ultimi sei mesi, lei non si era più alzata dal letto. Luca aveva iniziato a lavorare da casa per starle vicino. Aveva provato ad assumere una badante, ma dopo tre giorni quella era scappata portandosi via tutti i soldi e i gioielli d’oro di sua madre. Non aveva più voluto rischiare.
Lavorando al computer, tendeva l’orecchio, pronto a correre da lei al minimo accenno. Era così stanco che a volte si addormentava davanti allo schermo. Quella notte si era svegliato di soprassalto, era corso nella sua stanza, ma lei non respirava più. Aveva pianto, chiedendole perdono per il sollievo mescolato al dolore. Finalmente in pace. E lui, finalmente libero.
Ma nelle tre settimane seguenti non aveva provato gioia, solo un vuoto pesante dentro.
Lei era sempre stata vivace, sembrava giovane anche con gli anni che avanzavano. Canticchiava mentre stirava o puliva la casa. Sembrava che sarebbe rimasta così per sempre. Luca non aveva mai immaginato che sarebbe deperita in quel modo.
Non aveva più sonno. Guardò l’orologio: le sei e mezza. Fuori, l’autunno grigio sembrava essersi infiltrato nella stanza, attenuando ogni colore. Silenzio, vuoto, penombra.
Gli sembrava di essersi fatto grigio anche lui, come se fosse già morto. Si alzò, si vestì e si avvicinò alla porta della sua stanza. Ci era entrato solo una volta dopo la sua morte, per sceglierle un abito. Spalancò la porta d’un colpo e l’odore lo investì: medicine stagnanti, urina, il corpo logorato dalla malattia. Senza guardare il letto vuoto, tirò la tenda e spalancò la finestra.
L’aria umida e fresca irruppe nella stanza insieme al rumore della città che si risvegliava. E, stranamente, la camera riprese vita, i colori divennero più vividi. Luca sentì una nuova energia. Strappò le lenzuola dal letto, gettando tutto per terra, incluso il vestaglio di sua madre appeso alla sedia. Fece un mucchio e lo portò in lavatrice.
Tornato in camera, con un gesto rapido, spazzò via dalla sedia tutti i flaconi di medicine e il bicchiere con cui l’aveva fatta bere. Coprì il letto, eliminò il superfluo, spolverò e lavò il pavimento. La stanza non era rinata, ma respirava meglio. Preso dall’entusiasmo, ripulì l’intero appartamento.
Mentre l’acqua bolliva per il caffè, si avvicinò alla finestra soddisfatto. Come contagiata dalla sua energia, anche la luce del sole riuscì a farsi strada tra le nuvole. Una striscia di cielo blu apparve in lontananza, e il suo umore migliorò.
Il frigo era vuoto. Luca non ricordava cosa avesse mangiato negli ultimi giorni, o se avesse mangiato. Sua madre poteva ingerire solo cibo frullato, e lui non aveva la forza di cucinare altro. Aveva mangiato ciò che restava del pranzo del funerale, ma adesso nel frigo c’era solo un vasetto mezzo vuoto di cetrioli sottaceto con un velo di muffa e una bottiglia di latte andato a male. Getto tutto nella spazzatura.
Si accontentò di un caffè forte, ma lo sentì ribollire nello stomaco. Indossò una giacca, prese la carta di credito e uscì per buttare la spazzatura. Al ritorno, si fermò in un negozio e comprò pane, latte, pasta, salame, mele… Avrebbe comprato tutto ciò che vedeva, ma si trattenne.
A casa, mise a bollire la pasta e divorò due panini con il salame. Con l’orecchio attento, sentì che la lavatrice aveva finito.
Non c’era spazio per stendere tutto il bucato in bagno. Non aveva balcone né un’asciugatrice. Si grattò la testa. L’unica soluzione era una corda in camera. L’ingresso e la cucina erano troppo piccoli. Che importava? Tanto nessuno sarebbe venuto a trovarlo, e il bucato sarebbe asciutto in poche ore. Trovò una corda nel cassetto dell’ingresso, dove sua madre teneva ogni sorta di cianfrusaglie “per ogni evenienza”, insieme agli attrezzi per le piccole riparazioni.
Gli venne in mente Beatrice. Aveva avuto una ragazza. Due anni insieme. Sua madre non si opponeva al matrimonio, ma Luca non aveva fretta. Non sapeva nemmeno lui perché. La amava, ma la trovava opprimente quando stavano troppo tempo insieme. Beatrice parlava spesso del loro futuro. Forse era proprio quello a infastidirlo: la sua precisa pianificazione.
Sua madre gli aveva detto che se non si sposava allora, non l’avrebbe fatto mai. E lui aveva ceduto. Ma poi lei si era ammalata, e Beatrice aveva rimandato il matrimonio. Chi aveva voglia di badare a una suocera malata?
All’inizio era venuta, aveva aiutato, aveva cucinato. Poi aveva iniziato a chiamare, dicendo di essere impegnata. Col tempo, le chiamate si erano fatte sempre più rare, fino a scomparire. E lui? Non aveva tempo di chiamarla, e poi, che avrebbe detto? Era tutto chiaro.
Le aveva telefonato per dirle che sua madre era morta e invitarla al funerale. Aveva espresso condoglianze tiepide, ma non si era fatta vedere. E lui, sinceramente, non se ne era dispiaciuto.
Si guardò intorno. Bene, un capo della corda legato al tubo vicino alla finestra, l’altro… Trovò un chiodo nel cassetto e lo conficcò nello stipite della porta. Grazie al cielo non aveva sostituito le vecchie porte in legno dipinte di bianco con quelle di truciolato. Soddisfatto della sua idea, salì sullo sgabello e iniziò a legare la corda.
“Resisterà al mio peso?” abbassò le braccia. “Oddio, che mi è venuto in mente?”
Fuori, il rumore di tacchi. Nell’appartamento accanto si era appena trasferita una ragazza. L’aveva vista una sola volta. Prima ci viveva una coppia anziana che d’estate andava in campagna e quest’autunno aveva deciso di affittare.
Aveva già sentito sbattere la sua porta, i tacchi nel corridoio, la serratura del vano scale. Poche ore dopo, i suoni si ripetevano al contrario. Non riceveva visite, non usciva la sera. E nell’ingresso rimaneva il suo profumo.
Non sembrava una studentessa, né una fuorisede. Semplicemente l’aveva notata, senza darle peso. Non aveva voglia di conoscerla.
Ma ora i tacchi si erano fermati davanti alla sua porta. Luca rimase in ascolto. All’improvviso la porta si aprì e una ragazza bella e slanciata vi fece capolino, fissandolo con occhi spalancati dalla sorpresa e dalla paura.
Luca si rese conto troppo tardi di essere in piedi sullo sgabello con la corda in mano, e che le sue intenzioni potevano essere fraintese.
“La sua porta era aperta,” disse lei. “Scusi se la disturbo, ma potrebbe aiutarmi?”
Luca sLuca scese dallo sgabello, sorrise alla ragazza, e in quel momento capì che la vita, nonostante tutto, aveva ancora un dono in serbo per lui.