**Rancori d’Infanzia**
Bea sistemò la pappa nei piatti, disegnando col miele una faccina buffa su quello del figlio.
“Uomini! A colazione!” chiamò, versando il tè appena preparato nelle tazze.
Leo sedette a tavola e fissò il piatto con aria scontrosa.
“Non mi piace la pappa,” borbottò imbronciato.
“Ma che dici? Il porridge fa bene. Se vuoi andare al pattinaggio, devi mangiare,” intervenne Luca, sedendosi di fronte a lui e prendendo un cucchiaio colmo. “Mmm… che bontà. La nostra mamma è magica. Nessuno fa una pappa così buona come lei.”
Leo lo guardò dubbioso, ma infine afferrò il cucchiaio. Finito il pasto, Bea gli avvicinò la tazza del tè.
“Che succede?” chiese al marito. “Sei pensieroso da giorni. Problemi al lavoro?”
“Ho finito! Andiamo al pattinaggio?” esclamò Leo, allegro.
“Vai a giocare. Io e la mamma dobbiamo parlare,” disse Luca, notando lo sguardo deluso del figlio. “Più tardi, promesso.”
A Bea parve di leggergli il pensiero: stava decidendo se piangere per paura di perdere l’uscita o ritirarsi in camera a tormentarsi. Gli sorrise e annuì, rassicurandolo che sarebbero andati, ma dopo.
Leo scivolò giù dalla sedia e uscì dalla cucina a testa bassa.
“Dunque, cosa ti rode?” Bea si sedette al suo posto.
“Non so da dove cominciare. Non ci capisco nulla,” disse Luca, girando la tazza sul tavolo.
“Hai un’amante? Vuoi lasciarmi?” domandò lei, diretta.
“Bea, ma che dici? Come ti viene in mente?” ribatté lui, infiammandosi.
“Che altro posso pensare? Se non è il lavoro, cosa ti turba così?” Bea perse la pazienza. “Ieri ti ho chiesto di buttare la spazzatura. Hai annuito, ma ti sei dimenticato. Sei distratto. Parla, ma non mentire.”
Luca la fissò serio.
“È venuta mia madre,” sbottò infine.
Bea vide lo sforzo nelle sue parole.
“In sogno? E cosa ti ha detto dall’aldilà per scombussolarti così?” scherzò.
“No, non in sogno. Viva.” Luca spinse via la tazza, rovesciando il tè. Bea afferrò una spugna e asciugò.
“Ma è morta. O mi hai mentito tutti questi anni?” gettò la spugna nel lavello.
“Non ho mentito. Per me è morta davvero,” rispose lui, irritato.
“Allora spiegami. Morta, viva… Ascolto.”
“Avevo dieci anni. Mio padre beveva. Litigavano spesso. Era geloso perché lei era bella. A volte la picchiava. Lei copriva i lividi, ma io li vedevo.”
“Quel giorno lui tornò ubriaco. La accusò di essere la causa dei suoi problemi. Lei taceva, e quello lo faceva infuriare ancora di più. Andai in camera mia, ma sentii le urla. Poi un tonfo, e il silenzio.”
“Uscito, lo vidi a terra, sangue dalla tempia. Lei era lì, la mano sulla bocca. Mi spinse via, disse che era caduto e che avrebbe chiamato un’ambulanza. Ma arrivò la polizia. Se ne andò con loro, dicendomi di aspettare zia Elena.”
“Zia Elena pianse, chiamandola assassina. Mi portò via. Mi riempì di menzogne su di lei. Zio Marco mi disse di dire che i miei genitori erano morti in un incidente, per evitare vergogna. Mia madre non tornò mai, né scrisse. Smisi di aspettarla.”
“Io non ero amato. Una volta rubai dieci lire dal portafoglio di zia Elena. Mi colpì e minacciò l’orfanotrofio. Appena pot”E così, mentre il sole sorgeva su Roma, Bea si rese conto che il perdono, anche quando tardivo, era l’unico modo per liberarsi dai pesi del passato.”