Nel Giorno del Compleanno di Mio Marito, Mio Figlio Ha Indicato Gli Ospiti e Gridato: ‘Ecco Lei! Indossa Quella Gonna!’

Eh, allora, te la racconto così, come se fossimo al bar a prendere un caffè.

Il giorno del compleanno di mio marito, mio figlio ha indicato gli ospiti e ha gridato: “È lei! Indossa quella gonna!” Non ho potuto dire di no.

“Per favore, mamma,” ha insistito lui. “Ho promesso agli amici che avrei portato la coperta e i succhi. E ho detto che avresti fatto anche quei dolcetti al caramello e cioccolato.”

E io, da brava mamma, mi sono messa a cercare. Valigie vecchie, cavi arrotolati, ventagli rotti di estati passate. E poi, infilata in un angolo, lho vista.

Una scatola nera. Elegante, squadrata, nascosta come un segreto. Non sono una ficcanaso, ma non ho resistito. Lho presa, mi sono seduta sul tappeto e ho sollevato il coperchio piano.

Mi è mancato il fiato.

Dentro cera una gonna di satinun viola intenso, morbida come un sussurro, con ricami delicati sullorlo. Raffinata. Bellissima.

E familiare.

Lavevo mostrata a Lucamio maritomesi prima, mentre passeggiavamo in centro. Passando davanti a una boutique, glielavevo indicata in vetrina. “Troppo elegante,” avevo detto, ma nel cuore speravo che se la ricordasse.

“Ti meriti qualcosa di lussuoso ogni tanto,” aveva riso lui.

Così, quando ho visto la gonna, piegata con cura nella carta e messa nella scatola, ho capito. Doveva essere il mio regalo di compleanno. Una gioia silenziosa mi ha avvolto.

Forse tra noi andava ancora tutto bene.

Non volevo rovinare la sorpresa, così ho richiuso la scatola, lho rimessa a posto e ho dato a Matteo una coperta vecchia. Ho comprato persino una blusa che abbinasse alla gonna e lho messa via in un cassetto, aspettando il momento giusto.

Il mio compleanno è arrivato. La famiglia si è riunita. Luca mi ha consegnato un regalo con un sorriso da bambino.

Libri.

Una bella pila di romanzi scelti con curama nessuna traccia della gonna. Nessuna parola su di lei.

Ho aspettato. Forse lavrebbe tenuta per una cena speciale o un momento solo nostro.

Quel momento non è mai arrivato.

Qualche giorno dopo, sono tornata di nascosto nellarmadio per dare unaltra occhiata. Ma la scatola era sparita. Senza traccia.

Eppure non ho detto nulla. Non volevo essere la moglie che dubita. Che salta alle conclusioni.

La speranza è ciò che ci tiene in piedi, anche quando sappiamo la verità.

Tre mesi sono passati. Nessun segno della gonna. Nessuna parola. Solo silenzio.

Poi, un pomeriggio, mentre preparavo dei dolci al limone per un ordine di matrimonio, Matteo è entrato in cucina. Aveva gli occhi inquieti, le spalle tese.

“Mamma?” ha detto piano. “Devo dirti una cosa. Riguarda quella gonna.”

Ho posato la spatola.

“So che papà lha comprata,” ha iniziato lui. “Quando siamo andati al centro commerciale per le mie scarpe da calcio, mi ha detto di aspettare fuori. Ha detto che doveva prendere qualcosa.”

Ho sentito lo stomaco stringersi.

“Poi, un giorno,” ha continuato Matteo, “ho marinato un paio dore di scuola. Sono tornato a casa prima per prendere lo skateboard ma ho sentito delle voci al piano di sopra. Pensavo foste tu e papà.”

Ha fatto una pausa, deglutendo a fatica.

“Ma tu non sei mai a casa a quellora. Mi sono spaventato. Mi sono nascosto sotto il letto.”

Il cuore mi si è spezzato per lui.

“Rideva, mamma. Non eri tu. Ho visto le gambe. Indossava la gonna.”

Sono rimasta di ghiaccio, la stanza che girava lentamente intorno a me.

Poi lho stretto tra le braccia.

Nessun bambino dovrebbe portarsi un segreto così.

Qualche giorno dopo, ho organizzato la festa per il compleanno di Luca. Ho cucinato, pulito, sorriso.

Ho indossato un vestito blu notte e rossetto rosso. Ho messo quelle scarpe che rimpiango sempre dopo unora. E ho recitato la partela moglie graziosa, lospite calorosa, la colonna salda.

Dentro, mi sfaldavo.

La festa era piena di chiacchiere e musica, finché Matteo è apparso accanto a me, tirandomi la manica.

“Mamma,” ha sussurrato, con gli occhi grandi. “È lei. La gonna. La sta indossando.”

Ho seguito il suo sguardo.

Alessia.

Lassistente di Luca. Era in piedi vicino al tavolo del vino, splendente e sicura di sé in quella gonna viola di satin, impossibile da confondere.

La gonna che aveva nascosto.

La gonna che credevo fosse per me.

Stava accanto a suo marito, Marco, tenendo un bicchiere, con il viso raggiante.

Ho preso un vassoio di stuzzichini e mi sono diretta verso di loro con un sorriso.

“Alessia! Quella gonna ti sta benissimo. Dove lhai trovata?”

Ha battuto le palpebre, sorpresa. “Oh grazie. È stato un regalo.”

“Che carino,” ho detto dolcemente. “Stranone avevo una identica. Lho trovata in casa una volta. Poi è sparita.”

Il suo sorriso si è affievolito.

Dallaltra parte della stanza, Luca ci guardava, immobile.

“Marco!” lho chiamato. “Vieni anche tu! Stavamo ammirando la gonna di Alessia. E tu, Luca!”

Siamo rimasti tutti e quattro in cerchio. La mano di Alessia tremava sul bicchiere. Marco sembrava confuso. Luca aveva uno sguardo distrutto.

“Amavo quella gonna,” ho detto piano. “Credevo fosse per me. Ma ora vedo che era per qualcun altro.”

Luca ha tossito. “Lho data ad Alessia. Come bonus. Per il suo ottimo lavoro.”

“Che premuroso,” ho risposto, con voce calma. “Per le sue prestazioni sul lavoro o per le visite nella nostra camera durante la pausa pranzo?”

Silenzio.

Marco si è allontanato da Alessia. Le labbra di lei si sono aperte, gli occhi pieni di vergogna, e io sono rimasta lì, sapendo che da quel momento in poi la mia vita sarebbe stata solo mia.

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